«Nessuna fuga in avanti: temi come quelli della web tax vanno affrontati a livello europeo e internazionale, non può essere un Paese da solo a farsi la sua legge». Così Paolo Coppola, deputato del Pd, commenta l’abrogazione della normativa mirata ad obbligare chi vende pubblicità online in Italia ad aprire partita Iva italiana. Una battaglia durata mesi: voluta dal suo collega di partito Francesco Boccia, la norma era stata approvata a fine dicembre nell’ambito della Legge di Stabilità, poi era stata rinviata a luglio e infine è stata cancellata dal Dl numero 16 del 6 marzo 2014. È invece in vigore dal primo gennaio il ruling, ovvero la tracciabilità dei pagamenti online, sempre proposta da Boccia. Ma per ora niente obbligo di partita Iva in Italia per Google & company. “Avrebbe avuto ricadute assai negative sulla gracile economia digitale del nostro Paese” sostiene Coppola.
Perché?
Premetto che la web tax ha avuto il pregio di sollevare e portare all’attenzione del grande pubblico una questione importante, ma a mio parere lo ha fatto nel modo sbagliato. Per l’ennesima volta si è messo in evidenza il lato negativo dell’economia digitale, invece di cercare di cogliere le opportunità che è in grado di offrire o tentare di fare sistema per farla crescere e sviluppare. In passato c’è stato questo approccio, anche da parte di membri del mio partito, per cui, quando ci si occupava della materia, si evidenziavano solo gli aspetti negativi.
Per quali motivi?
Mancanza di competenze interne e scarsa familiarità con il digitale, che cambia in maniera estremamente veloce. Se non lo si conosce, è possibile restarne intimoriti invece di provare a comprenderlo.
Boccia, promotore della norma, ha sempre puntato ad evidenziarne i vantaggi per la nostra economia.
Non condivido la sua analisi ma non posso nemmeno essere certo che la mia sia giusta. Ognuno fa le proprie scelte in base al background culturale, alle proprie esperienze e intuizioni.
Però la web tax ha creato una spaccatura all’interno del Pd. Come è potuto succedere?
Sono semplicemente emersi punti di vista diversi. Meno male che è così: è normalissimo e legittimo che in un grande partito come il nostro emergano opinioni e metodi diversi per affrontare un problema.
Adesso cosa accadrà?
Spero che la questione sia affrontata a livello europeo, come abbiamo chiesto fin dall’inizio. Anzi, temi come questi andrebbero affrontati in ambito internazionale: una delle caratteristiche di Internet è proprio quella di spostare inevitabilmente alcune tematiche sul piano internazionale. Fortunatamente noi abbiamo uno strumento come quello dell’Europa attraverso il quale possiamo discutere almeno a livello sovrannazionale. È in arrivo il semestre europeo: mi pare ci siano tutte le condizioni per trovare una soluzione ragionevole e comune a tutti i Paesi della Comunità europea.
E cosa si dovrebbe fare in concreto?
Va trovato un meccanismo che mantenga la possibilità di libero scambio all’interno dell’Unione ma che eviti il drenaggio fiscale troppo accentuato. Non posso dire che ho la soluzione, se l’avessi avuta l’avrei proposta. Però di una cosa sono certo: non ci deve essere un solo Paese che fa cose diverse dagli altri.
Però la Francia è già andata avanti per la sua strada. Cosa risponde a chi sostiene che bisogna muoversi singolarmente perché la Ue tarderà a intervenire?
Ritengo che si debba cercare di utilizzare gli strumenti democratici a livello europeo e fare le cose insieme, non le fughe in avanti. Peraltro la Francia ha spesso ha avuto approcci al digitale che non condivido: non è il primo esempio che mi viene in mente se devo pensare a un Paese che abbia un buon rapporto con l’economia digitale.