Per rendere digitale la PA italiana la rete attuale è sufficiente. Lo ha detto Francesco Caio in un’intervista rilasciata ad Affari e finanza. “In linea di massima basta – spiega mister Agenda digitale che a fine marzo terminerà il suo mandato – per questo tipo di attività che prevede traffico essenzialmente di parole e di numeri quello che ci vuole non è una banda larghissima ma una banda larga universale, e quasi ci siamo. Mancano ancora 1,5 milioni di linee da dotare di una tecnologia superiore e Telecom Italia si è impegnata a farlo in pochi mesi”.
Ma sugli obiettivi europei al 2020, Caio evidenzia i ritardi dell’Italia. “Enrico Letta alla fine dello scorso ottobre aveva chiesto ad un gruppo ristretto di cui facevo parte di verificare se i programmi di investimento degli operatori ci avrebbero portato a raggiungere gli obiettivi fissati dall’Europa per la fine del decennio. La risposta è no, a meno che il settore pubblico non faccia un uso intelligente dei fondi strutturali”.
E sugli investimenti che non partirebbero perché non c’è una domanda adeguato, il manager spiega: “In effetti non vediamo ancora la gente per strada a protestare per questo, ma ciononostante la questione è seria. Perché abbiamo perso terreno: fino al 2009 la nostra offerta di banda non era lontanissima rispetto a quella degli altri paesi dell’Unione, ma negli ultimi cinque anni noi siamo cresciuti poco e loro molto e ora la distanza è grande. Ancora non lo cogliamo appieno, ma questa distanza comincia a pesare sulle decisioni di business perché impatta sulla competitività delle imprese. Le scelte di investimento vengono fatte anche in base all’offerta di infrastrutture digitali, meno banda vuol dire meno potenza e quindi meno competitività, quindi si investe preferibilmente dove la banda è più larga. Dobbiamo abituarci a vedere internet come all’inizio del secolo scorso veniva vista l’elettricità. Famiglie, imprese, fabbriche, scuole, ospedali per funzionare hanno oggi bisogno di due connessioni: energia e internet”.
Intanto la PA digitale fa grandi passi avanti dato che a giugno “diventerà operativa e obbligatoria la fatturazione digitale per tutti gli acquisti dello Stato centrale e delle sue strutture periferiche, quindi i ministeri ma anche scuole, tribunali e uffici statali in tutto il territorio nazionale”. Sarà poi la volta, nel 2015, dell’identità digitale e dell’anagrafe nazionale.
E sul suo futuro il manager ricorda che al è impegnato con l’Icann. “Qualche mese fa Icann, che è una organizzazione privata noprofit che opera sulla base di un contratto con il governo americano, ha creato un gruppo di lavoro assai composito che si chiama High Panel Internet Governance al quale mi è stato chiesto di partecipare. Il punto di partenza è che oggi internet ha 3 miliardi di utenti ai quali nei prossimi 2-3 anni se ne aggiungerà un altro miliardo e mezzo quasi tutto dall’emisfero sud. A internet si prevede che saranno collegati oltre 25 miliardi di oggetti, dei quali solo 8 miliardi saranno telefonini, computer, tablet mentre tutto il resto saranno apparecchi di altra natura, un fenomeno reso possibile dal fatto che oggi abbiamo microprocessori che hanno capacità di connessione e che costano meno di un dollaro. Tutto ciò trasformerà il pianeta e le nostre vite, dalla produzione industriale all’assistenza in remoto agli anziani, dalla logistica al traffico urbano, con conseguenze politiche e sociali enormi. C’è una frontiera che avanza, che cambia anche la definizione del lavoro e che si calcola produrrà un valore aggiunto complessivo di mille 900 miliardi di dollari. Tutto ciò passa anche per una revisione della governance di internet alla quale questo gruppo sta lavorando. Fino alla prossima estate mi dedicherò a questo”.