Il futuro del networking? È open. I grandi del settore, produttori di tecnologie per le reti infrastrutturali, sono davanti a un cambiamento epocale. In cui la risposta sono la gestione virtualizzata delle reti nei datacenter e l’utilizzo di tecnologie open. È quanto emerge dagli incontri organizzati da NetEvents che si sono tenuti nel fine settimana a Saratoga, nel cuore della Silicon Valley.
“Quello che vediamo – dice al Corriere delle Comunicazioni Doug Willis, Senior director per l’area Junos e SDN del colosso Usa del networking Juniper – è un veloce cambiamento nella realizzazione dei datacenter. La tecnologia SDN, software defined network, cioè la virtualizzazione della parte di networking dei datacenter che fino a tre anni fa era fantascienza, oggi sta diventando realtà. E le tecnologie open in questo giocano un ruolo chiave”.
È tramite le tecnologie open che è infatti possibile realizzare i complessi sistemi di astrazione dalle apparecchiature di rete. Router e switch, i costosi impianti utilizzati nei centri di calcolo di tutti i settori, dai grandi fornitori di cloud come Google e Amazon fino alle banche, alle compagnie telefoniche e ai colossi dei settori industriali, richiedono un lavoro faticoso e costoso di installazione, configurazione e manutenzione.
I sistemi SDN permettono di virtualizzare gli impianti hardware e configurarli una sola volta, da un pannello di controllo virtuale sempre uguale a prescindere da quali specifici vendor e tecnologie vengono scelte. “Per fare una analogia rispetto al networking attuale – spiega al Corriere delle Comunicazioni Arpit Joshipura, capo della gestione prodotti e marketing della divisione networking di Dell – è come se ogni aereo di linea avesse un controllore di volo a bordo e per concordare la rotta questi si dovessero tutti parlare fra di loro. Un sistema complesso, costoso e lento. Il modello degli SDN invece crea una torre di controllo con un unico controllore che si interfaccia con i vari aeri in volo e sulla pista, impartendogli le istruzioni”. Un sistema, cioè, più veloce, snello ed economico in cui i differenti apparati per il networking vengono virtualizzati e fanno capo a un’unica intelligenza centrale.
“Stiamo andando verso un nuovo mondo, un nuovo stile dell’IT associato a nuovi bisogni e capacità. Dobbiamo essere in grado di lavorare in modo nuovo”, dice Erik Papir, direttore mondiale del marketing per la divisione networking di Hewlett-Packard. Le cosiddette infrastrutture convergenti, la direzione principale verso la quale si muovono gli investimenti e sulle quali vengono realizzate le principali piattaforme digitali di oggi, richiedono un cambiamento di passo in cui l’open, l’apertura a regole e protocolli e standard comuni, condivisi e aperti, è il requisito minimo. Spiega ancora Papir: «La nostra strategia è semplice: crediamo che il networking sia stato troppo a lungo un problema costoso e complesso per le aziende. Vogliamo semplificarlo fortemente, e questo è possibile con gli open standard per l’interoperabilità, arrivando ad avere un footprint degli impianti più piccolo grazie alla convergenza, una più alta utilizzazione grazie alla virtualizzazione degli strumenti di rete oltre che dei server, e una spesa operativa più bassa grazie all’alto livello di automazione possibile».
«Lo status quo dei datacenter deve terminare», dice Houman Modarres, senior director marketing di Nuage Networks, azienda del gruppo Alcatel-Lucent. «Perché è uno status quo complesso, costoso, fuori standard, “chiuso” , che richiede un forte impegno manuale da parte degli operatori per funzionare bene: deve invece arrivare ad astrazione, automazione, controllo, apertura e visibilità del funzionamento molto maggiori per poter essere facile e usabile»·
L’utilizzo degli standard aperti è considerato un requisito inevitabile per la filosofia stessa degli SDN, dato che l’interoperabilità di differenti sistemi è possibile solo quando questi sono “aperti”.