«Vedrete: nel corso di quest’anno scoppierà di nuovo il problema delle frequenze. Dovremo ripianificarle per coordinarci con i Paesi vicini e in prospettiva liberare risorse per la banda larga mobile”. Antonio Sassano, docente della Sapienza, torna a parlare di quello che è sempre stato il suo pane quotidiano: il piano frequenze e le scelte da fare perché l’Italia faccia un utilizzo ottimale di una risorsa scarsa e preziosa, lo spettro. Sono due le questioni sul tavolo. La prima è il destino della banda 700 MHz, adesso da noi occupata dalla televisione e che nel resto d’Europa e del mondo va sempre più verso l’assegnazione alla banda larga mobile (come indicato anche dagli organismi internazionali competenti, Itu e Commissione europea). La seconda riguarda tutti quei piccoli grandi aggiustamenti necessari, nello spettro, per dare alla banda larga mobile risorse ora utilizzate poco o male dagli attuali ufficiali assegnatari.
Il bisogno di ottimizzare l’uso dello spettro è una delle indicazioni presenti nel Rapporto Caio alla Presidenza del Consiglio (del precedente Governo Letta). Il rapporto, sulla scorta delle analisi della Fondazione Ugo Bordoni (ministero dello Sviluppo economico), a pagina 25 consiglia al Governo di approfittare di questa spinta internazionale verso l’assegnazione di risorse alla banda larga mobile. Priorità è assegnarle la banda UHF L (1452-1492 MHz), che in Italia non è assegnata e a livello internazionale è destinata a “supplemental downlink”. Cioè aiuterebbe gli operatori ad aumentare la velocità di download su rete mobile. Nel medio termine (2015-2020) il rapporto consiglia di occuparsi invece di tre bande: 700 MHz, 2.3-2.4 GHz e 3.6-3.8 GHz. Il nodo principale sono, di gran lunga, i 700 MHz, perché fortemente occupati dalla Tv in Italia. Sono inoltre anche frequenze molto pregiate. Le migliori – quanto a capacità di copertura territorialev- tra tutte quelle assegnate finora alle reti mobili.
L’Italia potrebbe essere tentata di mettere la testa sotto la sabbia, per il nodo dei 700 MHz, un po’ come ha fatto per anni per gli 800 MHz (liberati solo a fatica delle tivù, per metterli poi all’asta del 4G).
Peccato che questa volta non lo possa fare. Il motivo è semplice: “I Paesi confinanti hanno già deciso di adottare i 700 MHz per la banda larga mobile, dal 2015. In alcune regioni, le nostre Tv dovranno allora spegnere il segnale, per non causare forti interferenze alle reti mobili dei Paesi vicini”, spiega Sassano. Le emittenti televisive hanno infatti una potenza molto superiore rispetto alle antenne radiomobili. Invaderebbero quindi i Paesi confinanti, disturbando le comunicazioni mobili. In questo scenario, l’Italia sarebbe sommersa dalle proteste internazionali e comunque alla fine sarebbe costretta a rimediare (com’è avvenuto con il Destinazione Italia, che destina 20 milioni per risolvere interferenze tv con Malta, Croazia e Slovenia).
Insomma, in una zona come il Mediterraneo non possono convivere reti televisive e banda larga mobile sulle stesse frequenze. Questa impostazione, per cui i 700 MHz dovranno passare tutti alle reti mobili, si è affermata durante la conferenza internazionale Itu Wrc 2012. La prossima sarà a novembre 2015, quando l’Italia come gli altri Paesi dovrà indicare il proprio piano di riallocazione dello spettro. È un problema soprattutto per l’Italia perché più degli altri ha una banda 700 MHz occupata dalle Tv; pesa anche la vicinanza con il Nord Africa, che preme per l’assegnazione di quelle frequenze alla banda larga mobile.
Il nostro Paese subisce ora le conseguenze di non aver presenziato il Wrc 2012, dove altrimenti avrebbe potuto far passare una roadmap più graduale per la liberazione dei 700 MHz. “Adesso probabilmente è troppo tardi. Vincerà definitivamente la posizione che vuole dare i 700 MHz alle reti mobili tutti e subito”, dice Sassano. Abbiamo insomma un anno e mezzo per risolvere la cosa, che i Governi hanno totalmente ignorato negli anni precedenti, nonostante l’allarme lanciato da Sassano già dopo il Wrc 2012, anche sul nostro giornale. Già allora Sassano diceva “abbiamo solo tre anni e sono pochissimi”. Adesso si sono dimezzati. Sarà forse più facile assegnare alle reti mobili porzioni di 2.3-2.4 e 3.6-3.8 GHz, che in Italia sono utilizzati solo in scenari particolari (ad esempio per ponti radio). Bisognerà però accettare un cambio di paradigma, che si sta affermando all’estero: il licensed shared access, con cui le risorse spettrali sono condivise tra diversi assegnatari, in diverse zone. È una svolta culturale rispetto all’approccio dominante da sempre in Italia. Dove chi ha ricevuto frequenze le conserva per sempre e non deve rendere conto a nessuno, anche se e utilizza poco o per niente.
Gli operatori mobili non dovrebbero avere bisogno di nuove frequenze, nell’immediato: ma solo dal 2017 circa. Forse però vogliono solo prendere tempo per paura di dover investire subito altri milioni in un’asta. Anche a tal proposito, il Governo dovrà decidere: fare un’altra asta che massimizzi i ricavi per lo Stato indebolendo la capacità degli operatori di investire in reti e servizi? Oppure – come suggerito da vari esperti- offrire le nuove frequenze a titolo gratuito a mo’ di incentivo per l’innovazione? Su vari fronti, la questione dello spettro, sollevata dallo sviluppo tecnologico della banda larga mobile, costringe l’Italia a maturare nelle politiche digitali.