Se qualcuno associa ancora Telit ai telefonini ha la memoria lunga. Di almeno dieci anni. Da quando cioè l’azienda triestina (ora parte del gruppo guidato dall’israeliano Oozi Cats che con un pool di investitori italiani ne detiene il 20%) ha abbandonato la produzione di cellulari e si è lanciata nel business del moduli M2M. Vedendo lontano, a giudicare dai risultati e dall’andamento di un mercato che tutte le previsioni danno in forte crescita con l’esplosione dell’internet delle cose. “Il trend di crescita è stato fortissimo: il 71% medio l’anno dal 2007. Dai 700.000 moduli di allora ai 13 milioni del 2013. Puntiamo a venderne quasi 25 milioni nel 2016 per arrivare a 100 milioni nel prossimo quinquennio”, sottolinea Chicco Testa, presidente dei Telit.
Cosa significano questi volumi?
Siamo i primi al mondo col 31% del mercato contando l’industrial M2M. Se consideriamo l’insieme del settore, ce la giochiamo con big player quali Gemalto, uno spin-off di Siemens e l’americana Sierra Wireless. Insieme facciamo il 70% del mercato. Però siamo gli unici specializzati soltanto nel M2M. È un nostro punto di forza caratterizzante.
I volumi crescono, i prezzi scendono.
Non vi è dubbio, pesa la pressione dei produttori cinesi. Ma ci difendiamo bene. Abbiamo chiuso il 2013 con ricavi in aumento del 17,3% a 243,2 milioni di dollari; un utile netto in rialzo del 179% a 10,9 milioni; un Ebitda a 26,9 milioni, più 55,5%; un indebitamento netto diminuito a 11,7 milioni nonostante circa 11 milioni investiti in acquisizioni.
Facile crescere comprando aziende.
Le nostre acquisizioni non mirano a comprare quote di mercato ma a crescere in maniera solida con acquisizioni mirate di tecnologia. È stato il caso di Crossbridge Solutions e di Ils Technology nel 2013. Quest’ultima è leader nei servizi cloud, mercato in cui crediamo molto e che ci consentirà di aumentare i servizi a valore aggiunto e a stabilizzare nel tempo i ricavi.
E Crossbridge?
Siamo partiti come puri venditori di moduli M2M, poi abbiamo deciso di proporre servizi di connettività. Crossbridge è specializzata in questo. Possiamo vendere moduli con inclusa una sim e un accordo già fatto con operatori come Telefonica, Verizon, Sprint. Ai contratti con gli operatori pensiamo noi dando ai clienti prezzi convenienti e trasparenti, legati al traffico dati effettivamente generato.
Offrire sim e traffico è un po’ pochino.
Proprio per questo puntiamo su servizi di back office. I nostri clienti possono, ad esempio, attivare o disattivare la sim, sapere dove sono i moduli, quanto consumano, accorgersi se c’è un malfunzionamento e da dove deriva. Anche nelle sim c’è evoluzione: il 4G riguarderà anche l’M2M.
E il cloud?
La nostra entrata nel cloud significa il potenziamento dei servizi di back office, consentendo al cliente di accedervi da qualunque punto e in qualunque momento, avendo a disposizione tutti i suoi dati. È quello che chiamiamo “one stop, one shop”. Lo scorso decennio ci ha visto diventare il più grande produttore di hardware M2M; il prossimo ci vedrà costruire la più importante piattaforma di servizi per gli industrial Internet connected device. Siamo già partiti con un servizio battezzato m2mAIR Mobile.
Con che impatto sul business model?
Cambia profondamente. Alle tradizionali revenue dalla vendita dei moduli affianchiamo quelle da servizi ricorrenti: danno stabilità nel tempo al fatturato. E ci consente qualità e affidabilità che giustificano il differenziale di prezzo che vogliamo mantenere rispetto ai competitor low cost.
Conferma l’interesse per Nxp?
Mancano soltanto gli ultimi dettagli. Quel che ci interessa è Atop, la divisione di Nxp leader negli apparati per automotive. Si tratta di uno dei principali settori in cui operiamo e che nei prossimi anni vedrà moltissime innovazioni. Già oggi una soluzione Telit consente di sfruttare la mappe Google facendo a meno delle carte precaricate che richiedono continui aggiornamenti. E si tratta di parlare con tutti i servizi satellitari, non solo col Gps. L’auto diventerà un hub di servizi connessi. Altri settori su cui puntiamo sono security, sistemi di pagamento, di controllo, telemedicina e alert, telemisure.
Telit è ancora italiana?
È una multinazionale con uffici in 60 Paesi e oltre 600 dipendenti, di cui quasi quasi 250 in Italia, fra Trieste e Cagliari. Il cuore della ricerca e sviluppo è ancora italiano tant’è vero che vi dedichiamo metà dei nostri investimenti in R&D. Abbiamo una forte componente ingegneristica, e continuiamo ad assumere.
Anche in Italia?
Potremmo fare di più ma in una multinazionale come la nostra c’è diffidenza: assumere in Italia significa prendersi un impegno per tutta la vita. Ma aziende come Telit hanno bisogno di flessibilità.
Preferite assumere a Tel Aviv?
Se assumiamo un ingegnere bravo in Israele la discussione più ostica è sul preavviso: non quello che dobbiamo dare noi in caso di rottura del rapporto, ma quello che lui deve dare a noi se decide di andarsene.
Un altro mondo.
Paradossalmente la mancanza di flessibilità nel mercato del lavoro in Italia ha anche un rovescio positivo della medaglia: la stabilità del capitale umano. E la qualità dei nostri ingegneri è altissima. Ad esempio, a Cagliari impegniamo una sessantina di persone sotto i 35 anni, tutti usciti da università sarde e tutti bravissimi.