I vendor di reti stanno lavorando su un ventaglio di tecnologie di nuova generazione e le stanno cominciando a installare in alcuni Paesi. La più rivoluzionaria al momento sembra la Network function virtualization (Nfv), perché è un cambio radicale nell’architettura delle reti. È in sostanza il paradigma del cloud computing che sbarca anche sulle reti mobili: per semplificarle e ridurre i costi per gli operatori fino all’80%, secondo stime degli stessi vendor. All’avanguardia nell’adozione, a riguardo, sono gli operatori statunitensi, mentre al momento quelli italiani riferiscono al nostro giornale di stare valutando la nuova tecnologia.
“La Network function virtualization è certo la più interessante tra le nuove tecnologie che si stanno affacciando nel campo delle reti”, spiega Gianluca Baini, presidente South Mediterranean Countries Alcatel-Lucent. Le attuali reti, non ancora virtualizzate, hanno bisogno di un apparato per ogni funzione che devono svolgere. Con la Nfv, invece, gli operatori possono usare lo stesso apparato per diverse funzioni, creando diversi ambienti virtuali, separati. “La funzione di rete è un software installato su una macchina virtuale all’interno di un datacenter dell’operatore, invece che nelle stazioni radio base come avviene adesso. Significa avere più centralizzazione, meno hardware sparso per il territorio: la rete diventa più semplice e meno costosa di conseguenza”, dice Baini. “Lo facciamo già con due operatori americani e uno francese. Ma un po’ tutti i principali operatori stanno facendo studi di fattibilità per l’Nfv”.
“La prima funzione che viene virtualizzata è l’Ims, la piattaforma che gestisce le chiamate su protocollo Ip”, continua Baini. Conferma Benedetto di Salvo, sales director di Huawei: “Abbiamo già virtualizzato l’Ims per alcuni operatori europei, su reti già in uso”. “Una seconda funzione – aggiunge Baini – che può essere virtualizzata già ora è il routing (instradamento del traffico Ip) su reti Lte. La terza è il processing dell’accesso alle stazione radio base”.
Grazie a questo approccio, inoltre, gli operatori potranno usare nei propri datacenter apparati standard, per le funzioni di rete, con ulteriori tagli di costi.
Affine a questo approccio sono i Software defined network, cioè la possibilità di programmare ciascun nodo di rete tramite interfacce di controllo. L’operatore quindi, dalla “stanza dei bottoni” potrebbe configurare a distanza e ottimizzare come meglio crede i punti della rete, in modo dinamico, con una flessibilità che non sarebbe possibile con un’architettura tradizionale. Ne derivano non solo risparmi per gli operatori ma anche la possibilità di lanciare nuovi servizi Ict ad aziende e privati, grazie alla facoltà di distribuire risorse di rete quando servono laddove servono, momento per momento. Verizon (Usa) e Ntt Communications (Giappone) sono tra i primi operatori a adottare le reti Sdn.
Le reti devono evolvere anche per risolvere un dilemma. Internet mobile acquista un’importanza crescente per gli utenti, che sono quindi sempre meno disposti a tollerare inefficienze nella navigazione; al tempo stesso la rete viene sottoposta a maggiori stress per l’aumento delle connessioni e del traffico. Una soluzione è disseminare piccole celle radiomobili sul territorio, in modo da avere una copertura più fine ed efficiente. Un’idea recente è collegare le piccole celle alla fibra ottica che arriva fino agli armadi stradali (per la Vdsl2). La fibra insomma farebbe da ponte tra le piccole celle e il resto della rete dell’operatore. Lo sviluppo di reti banda ultralarga fissa (fibra fino agli armadi) gioverebbe quindi anche a internet su rete mobile.
“Lo facciamo già negli Usa e in Cina e presto in Brasile con Tim Brasil, che ha già firmato il contratto”, sottolinea Baini.
Maggiori risorse verranno naturalmente dall’evoluzione dello standard Lte, a cui lavorano tutti gli attori (i vendor di reti e chip, come anche Qualcomm e Intel). La prossima versione dello standard è l’Lte Advanced, prevista per il 2015. Fornirà più del doppio della velocità (rispetto all’attuale Lte), a parità di frequenze disponibili presso gli operatori. Al tempo stesso, riuscirà a gestire meglio le reti eterogenee (composte anche di piccole celle), perché riesce a evitare le interferenze tra le diverse antenne poste vicine. Ma si guarda anche oltre l’Lte, verso il 5G, “su cui stiamo investendo dal 2009 – puntualizza Di Salvo – nei nostri grossi centri R&D in Europa e con i programmi Horizon 2020. Metteremo 600 milioni di dollari entro il 2018 sul 5G, che già in laboratorio ha offerto velocità fino a 115 Gb”.