Editoria digitale, Baban : “L’Italia ha bisogno di fare spin-in”

Il presidente di Piccola Industria di Confindustria: “Bisogna portare le capacità innovative di persone creative o di imprese di piccole dimensioni all’interno di sistemi già esistenti, ossia delle imprese stesse. Il fenomeno è già in corso ed è destinato ad evolvere”

Pubblicato il 11 Apr 2014

“Le startup sono nuove imprese come ce ne sono state tante in passato. Adesso il problema è riuscire a individuare e far emergere modelli di business vincenti”. Alberto Baban è dallo scorso novembre presidente di Piccola Industria di Confindustria, che rappresenta la maggioranza della base associativa della confederazione, quel tessuto di oltre 200mila pmi che sono il nerbo del sistema economico nazionale.46 anni, imprenditore di prima generazione, Baban non ha difficoltà a segnalare i limiti della sua categoria (“visione minima di mercato”) ma ha l’orgoglio di chi ha creato la sua impresa (Tapì, tappi sintetici per vino e super alcolici, circa 20milioni di fatturato) ed è riuscito a farla crescere. Come lui ce ne sono molti, Baban lo sa e nel suo Veneto ha riunito 42 imprenditori in VeNetWork, una spa che fa da “business booster”: “accelera” idee, progetti di business e imprese alla ricerca di una visione. Ha cominciato da tre settori (turismo, elettronica avanzata ed energie alternative) ed è diventata un modello, che ha ispirato Adottup, progetto lanciato da Confindustria per favorire l’incontro fra nuove imprese e sistema, diciamo così, tradizionale.
Presidente, perché è importante l’incontro fra startup e imprese consolidate?
In Italia il problema non è pensare di fare impresa, ma farla. Non abbiamo un sistema statale che ha capito quanto sia difficile fare impresa. Non abbiamo un governo che agevola il sistema delle imprese. Ai giovani o a chiunque voglia farlo non possiamo solo dire: sii imprenditore. Dobbiamo anche dire la verità: in Italia fare impresa è molto più difficile che altrove. C’è qualcuno che ci ha già provato e ha assorbito lo choc? Sì, sono le centinaia di migliaia di pmi e possono aiutare le startup a ridurre o evitare lo choc della mortalità. Da parte loro le pmi avranno il vantaggio di trovare innovazione a basso costo. 250mila imprenditori sono pronti ad accogliere startup. Il governo deve solo creare le condizioni perché l’incontro sia conveniente.
Come vede il fenomeno delle startup in Italia?
Il sistema economico italiano è relativamente giovane. E questo crea un problema per le startup: qual è il loro mercato di destinazione? Non c’è. Qual è un mercato possibile? Troviamolo. Invece di pensare a incubare, pensiamo a dove portare tutte queste imprese che stiamo allevando.
Qual è il problema che devono risolvere le pmi, invece?
La dimensione: sono troppo piccole per avere capacità di investimento e di manageralizzazione. Quindi o presidiano micro nicchie o vivono sul mercato interno, che è asfittico. Chiudiamo questa megaparentesi e costruiamo nuovi modelli di business. Non ci interessa più parlare del passato: lavoriamo per creare una proiezione del futuro. Quanto può rendere questo sistema? Questa è la vera novità, la direzione che dobbiamo prendere.
Le startup possono rappresentare una soluzione?
Sì, ma parlare solo di startup e di giovani è limitante. C’è confusione nell’idea di giovane, capace, brillante e digitale. Sono accezioni che possono creare una tendenza alla ghettizzazione. Se non hai queste caratteristiche, non vieni considerato uno startupparo. Mentre fare startup è parte della capacità di intraprendere e avere predisposizione al rischio. Bisognerebbe forse coniare una nuova definizione, anche perché le startup in sé non sono una novità.
In che senso?
Che cosa erano le pmi nel secondo dopoguerra se non delle startup? Abbiamo una grande tradizione di imprenditorialità diffusa in Italia. In passato abbiamo già assistito a un altro fenomeno di startup, che si chiamavano spinoff, aziende generate nei distretti: il capofabbrica lasciava e cominciava una sua attività. Erano tutte startup. Quasi tutta la totalità del tessuto industriale italiano è costituito quindi da startup.
Che cosa fa la differenza oggi?
Oggi l’idea è fare emergere una novità: gli spin-in, cioè portare le capacità innovative di persone creative o di imprese di piccole dimensioni all’interno di sistemi già esistenti che sono le imprese. Penso che questo fenomeno sia più difficile da misurare, ma sta succedendo e sono fiducioso che possa evolvere in maniera più rapida del previsto.

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