La scorsa settimana Assinform ha divulgato i dati sul giro d’affari dell’Ict tricolore, che nel 2013 ha perso il 4,4%. Non è una statistica che riguarda Red Hat Italia, che ha invece chiuso l’anno fiscale 2014 con un +25%. Il dato è persino superiore a quello del fatturato globale del gruppo americano (attestatosi a 1,53 miliardi di dollari, in crescita del 15% sull’esercizio precedente), che ha da poco inaugurato la filiale di Istanbul. Quello italiano non è comunque un exploit: sono sette anni che la società guidata dal country manager Gianni Anguilletti cresce a ritmi del 24% medio annuo.
Il merito naturalmente è soprattutto dei business principali di cui si occupa Red Hat: cloud, middleware, storage, virtualization e operating System tutto in chiave open source. Una filosofia e una tecnologia di cui il nostro Paese ha in questo momento estremamente bisogno: secondo una recente ricerca condotta da SDA Bocconi l’83% delle aziende italiane ha già adottato soluzioni open source, mentre la percentuale sale all’89% quando si considerano anche le organizzazioni che stanno per accedervi. La spinta è dovuta anche alla circolare n. 63/2013 del Codice dell’Amministrazione digitale, che incentiva le Pubbliche amministrazioni a privilegiare soluzioni di tipo open source rispetto a quelle proprietarie.
Ma il fatto che l’open source sia vincente anche nel mondo del privato lo dimostra per esempio l’adozione delle soluzioni Red Hat da parte di Sky Italia. Il network televisivo è riuscito a migliorare il workload del comparto IT del 30% abbattendo il 70% dei costi complessivi (“performance fondamentali nel lancio e nella gestione dei servizi di Sky Go e e dell’imminente Sky on demand”, precisa Anguilletti). Mentre Borsa Italiana è coadiuvata nelle funzioni che regolano gli scambi di ordini e contratti per un valore di circa 100 miliardi di euro al giorno. Più complesso raggiungere le piccole e medie imprese dei settori diversi da Tlc, media e finance, ma Red Hat ritiene che ci siano margini di crescita anche su quel fronte, tant’è vero che è stata creata una struttura apposta e la collaborazione con i partner (che gestiscono circa l’80% dei clienti) è destinata a rafforzarsi ulteriormente.
“Il mercato ha bisogno di fare di più con meno”, spiega il country manager, “spingendo i sistemi operativi al massimo delle prestazioni pur riducendo investimenti e risorse per il loro sviluppo. I grandi trend che attraversano quest’esigenza sono quello dei Big Data/Analytics, quello delle service oriented architecture (insieme al middleware l’area che in Red Hat Italia ha fatto registrare la crescita maggiore: +35%, ndr) e quello infine della cloud mobility. Il nostro modo di affrontarli? Rafforzando le alleanze strategiche e sviluppando competenze specifiche in verticale, sia per industry che per tecnologia. Dobbiamo inoltre garantire sempre la massima flessibilità e apertura per il cliente, a costo di permettergli di incorporare nei nostri sistemi anche soluzioni che arrivano dalla concorrenza”.
Come per molti altri player, la sfida di domani per Red Hat si chiama Internet delle cose. E se Anguilletti è piuttosto restio nel dire quali saranno – se ci saranno – nuove acquisizioni rispetto al core business (“anzi devo ammettere che il maggior impegno dal punto di vista manageriale è riuscire a mantenere il focus dei miei team sul numero elevatissimo di prodotti che abbiamo a disposizione”), ha grandi aspettative nell’annunciare la recente integrazione all’interno della piattaforma Jboss di A-mq e Fuse, due sistemi per la messaggistica machine-to-machine. “Anche su quel fronte bisognerà garantire la massima trasparenza e flessibilità nell’integrazione delle applicazioni. L’open source è la risposta giusta”, chiosa Anguilletti, “e sono convinto che il meglio debba ancora venire”.