Lo scenario italiano della banda ultralarga si sta dipingendo di chiaroscuri. Le azioni degli operatori sono chiare: i piani commerciali di Telecom Italia, Fastweb e Vodafone hanno preso una direzione precisa. Tutti d’accordo che la fibra è il futuro a cui l’Italia e gli operatori non possono permettersi di mancare.
Dall’altro lato però non è chiaro ancora quanti fondi pubblici (europei e nazionali) l’Italia metterà, da qui al 2020, sullo sviluppo della banda ultralarga nelle aree a fallimento di mercato. Né si sa se avremo una strategia nazionale unitaria per lo sviluppo delle nuove reti, come ci chiede la Commissione Ue. Che manchi una strategia focalizzata su questi temi lo dimostra anche il ritardo maturato sul nuovo decreto scavi, che secondo Destinazione Italia sarebbe dovuto arrivare a fine aprile. Terzo capitolo di incertezza normativa: le regole Agcom per l’apertura della concorrenza sulle reti fiber to the cabinet e sul vectoring. In questo caso, l’impasse non è dovuta a indugi istituzionali ma da punti di vista conflittuali tra alcuni operatori e Agcom.
Il risultato di questi chiaroscuri si vedrà soprattutto più in là: nella copertura e nelle velocità a banda ultra larga che avremo nel 2020. Per i prossimi tre anni invece i piani degli operatori andranno avanti in un modo che è già possibile prevedere. “Il quadro si sta definitivamente chiarendo: innanzitutto, tre operatori hanno delineato in modo chiaro i propri piani di intervento per il prossimo triennio: Telecom Italia, Fastweb e Vodafone”, conferma Cristoforo Morandini di Between. “I rispettivi consigli di amministrazione hanno dato il benestare e le risorse ci sono, i cantieri sono aperti. Altro aspetto chiaro: le aree di interesse sono totalmente sovrapposte a favore delle principali città italiane. Anche se l’estensione della copertura è, almeno per ora, diversa, con Fastweb più focalizzata e Telecom Italia che prospetta il raggiungimento della metà della popolazione all’orizzonte 2016”, ricorda Morandini. Terzo punto fermo, “l’architettura di riferimento è omogenea tra i diversi piani, vale a dire gli operatori hanno puntato tutti decisamente sul Fttc”.
Fin qui sono mosse note già da tempo. Meno nota la spinta per “riempire” le reti di contenuti. “Nelle ultime settimane abbiamo assistito agli sviluppi più importanti degli ultimi 5-10 anni per il futuro delle reti di nuova generazione in Italia. In particolare, l’accordo prima tra Mediaset e Vodafone e poi, ancora più significativo, quello tra Sky e Telecom Italia per lo sviluppo di offerte internet Tv”, dice Stefano Da Empoli dell’osservatorio I-Com. Gli utenti Vodafone (fissi e mobili) e quelli ultrabroadband di Telecom potranno accedere a condizioni particolari ai servizi Tv di Infinity (Mediaset) e di Sky, rispettivamente. A queste due notizie va aggiunta la rinnovata (ad aprile) partnership tra Sky e Fastweb. Gli utenti dell’offerta Joy hanno sei mesi di programmi Sky Online inclusi. “Questi servizi sono probabilmente la killer application che aspettavamo da anni, per le nuove reti. Accordi tra player tv e telco non sono certo una novità ma stavolta il numero di potenziali fruitori e l’ampiezza dell’offerta di contenuti sono davvero imponenti”, commenta Da Empoli.
“Dal lato della domanda ci sono quindi le basi per una netta accelerazione della banda larga e ultralarga nel nostro paese. Basti pensare che, secondo le stime di Cisco, nel 2017 il consumo di video online costituirà il 67% del traffico dati mondiale. Senza contare che a breve in Italia dovrebbero scendere in campo i colossi dell’IP video, a partire da Netflix, che oggi nelle ore serali impegna oltre il 50% della capacità di banda negli Usa”, aggiunge. Insomma, l’industria sta lavorando sia su coperture sia su contenuti, quindi l’offerta e la domanda potrebbero crescere in parallelo.
“Rimangono alcuni nodi da sciogliere, a partire da quello regolamentare, visto che nonostante la decisione Agcom di consentire la condivisione dei cabinet di Telecom, l’attuazione richiede tavoli tecnici e lunghe discussioni”, evidenzia Morandini. “Come si può notare guardando gli allestimenti presenti nelle prime città, il dimensionamento degli impianti è teso alla massima efficienza ed economicità e non è ingegnerizzato per ospitare i diversi concorrenti. Cambiare approccio richiede tempo e risorse, per quanto condivisibili”.
“Subito dopo si porrà il problema dell’evoluzione al vectoring, ora non possibile nelle zone dove ci sono molteplici reti Fttc di operatori diversi. Il rischio di fatto è di non cogliere appieno l’opportunità offerta dallo sviluppo tecnologico”, continua Morandini. Solo il vectoring, infatti, potrà garantire velocità superiori ai 30 Mb sulle attuali reti. Siamo di fronte a un bivio: se le regole imporranno alle nuove reti di essere molto aperte, per gli utenti ci saranno parecchie alternative e prezzi bassi per l’ultra-broadband; ma d’altro canto aumenterà il rischio che circa metà della popolazione resterà senza fibra e che quelli che ne saranno coperti non potranno superare i 30 Mb. “Larghe fasce del territorio con ogni probabilità riceveranno pochi se non nulli benefici da questa evoluzione del mercato. A tutto questo la politica e le istituzioni devono dare risposte concrete. Ad esempio, sfruttando appieno i fondi strutturali Ue 2014-2020”, auspica Da Empoli. Secondo stime Infratel servirebbero 2,5 miliardi pubblici per dare i 30 Mb a tutta la popolazione (colmando le lacune dei piani degli operatori), ma l’attuale accordo di partenariato Italia-Europa ne individua meno della metà. A disposizione c’è anche il Fondo sviluppo e coesione (nazionale), ma ancora non è chiaro quanta parte il Governo ne destinerà alla banda larga. Ancora più incerto è se riusciremo a dare i 100 Mb al 50% della popolazione entro il 2020 (come indicato dall’Agenda digitale europea). Intanto la scommessa degli operatori procede. Meriterebbe un’attenzione istituzionale maggiore, secondo gli esperti. Non solo per far quadrare i conti delle aziende, ma anche e soprattutto per portare la banda ultralarga a tutti gli italiani.