Pubblichiamo le opinioni dei deputati e dei senatori che hanno aderito all’intergruppo sull’Innovazione. Un insieme di eletti bipartisan che “fa gruppo” con l’obiettivo di sensibilizzare i Palazzi e indirizzare i provvedimenti esaminati da aule e commissioni per “rimettere il digitale al centro delle decisioni parlamentari”.
Risponde Gianpiero D’Alia, classe 1966, eletto alla Camera a marzo 2013 nella lista dell’Unione di centro, è iscritto al gruppo parlamentare “Per l’Italia”. Ex ministro per la Pubblica amministrazione e la Semplificazione nel Governo Letta dal 28 aprile 2013 al 28 febbraio 2014, fa parte della II commissione Giustizia. Oggi è presidente dell’Udc.
Onorevole D’Alia, perché ha deciso di aderire all’intergruppo parlamentare sull’Innovazione?
Dopo l’esperienza nel Governo Letta di ministro per la Pubblica amministrazione mi sono reso conto che solo attraverso l’attuazione dell’Agenda digitale, e attraverso una grande opera di formazione e di educazione alle nuove tecnologie del personale pubblico, si può rendere più trasparente ed efficiente la PA. Tutte le riforme che nel campo amministrativo sono state fatte negli ultimi decenni hanno molti pregi ed enunciano principi condivisibili, ma l’applicazione delle innovazioni tecnologiche ai processi e alle attività amministrative è l’unica soluzione per rendere i tempi più certi e più brevi, e favorire una relazione più efficiente tra i cittadini e la PA.
Quanto le è stata utile in questo campo l’esperienza maturata da ministro?
Con Enrico Letta, con Francesco Caio e con colleghi come Stefano Quintarelli abbiamo fatto un lavoro preliminare, con la definizione di atti importanti che sono alla base dell’attuazione rapida dell’Agenda digitale. Mi riferisco all’introduzione dello Spid, il sistema pubblico di identità digitale, all’anagrafe nazionale della popolazione residente e alla fatturazione elettronica. Sono i tre capisaldi indispensabili per poter avviare un processo totalizzante di digitalizzazione del sistema pubblico. Oggi questo intergruppo serve anche a sviluppare la cultura digitale e ad alfabetizzare e sensibilizzare rispetto a questi temi. La mia adesione nasce dalla mia volontà di continuare a impegnarmi in questo campo anche da parlamentare, perché più delle riforme che si fanno sulla carta sono importanti quelle che si praticano attraverso il superamento concreto del digital divide.
Quanto sarà utile la “trasparenza” per accelerare questi processi?
E’ un tema fondamentale. L’attuazione della nuova normativa in materia di trasparenza, il decreto legislativo 33, della cui attuazione mi sono occupato personalmente, consentirà la relazione digitale immediata e l’interazione tra cittadini e PA: il controllo sociale degli atti e della trasparenza delle attività amministrative renderà più efficiente e meno incrostato il sistema pubblico.
Il gruppo riunisce più di 30 esponenti di partiti diversi e di commissioni diverse della Camera e del Senato. Quanto questa sinergia trasversale può essere utile per modernizzare il Paese?
Prima della mia esperienza di Governo non avevo approfondito e sviluppato questo tema che per me oggi è diventato un motivo di impegno specifico, perché è troppo importante superare questo deficit, a partire dall’interoperabilità delle banche dati. Abbiamo il problema che le amministrazioni, soprattutto se appartengono a enti diversi, fanno fatica a comunicare. Per questo, ad esempio, nel disegno di legge di semplificazione amministrativa che avevo presentato in Parlamento prima del cambio di Governo, e che giace in prima commissione Affari costituzionali della Camera, prevedevo una norma che obbligasse le amministrazioni a rendere interoperabili le banche dati.
Su che cosa è più importante puntare in prima battuta secondo lei?
E’ chiaro che ciascuno di noi è portatore di una sensibilità, di una cultura e di una professionalità diversa. Se io dovessi dire la mia priorità, da giurista e da avvocato, parlerei dell’attuazione del processo telematico. Ma penso anche che se vogliamo velocizzare i tempi della semplificazione della PA, se vogliamo fare una riforma efficace del pubblico impiego dobbiamo concentrare tutti i nostri sforzi su una grande campagna di alfabetizzazione digitale dei dipendenti pubblici. Con le manovre economiche e finanziarie degli ultimi dieci anni, infatti, il numero dei dipendenti pubblici si è ridotto di circa mezzo milione di unità, e questo è un fatto positivo anche dal punto di vista economico; ma il blocco del turn over ha prodotto un invecchiamento dei dipendenti pubblici: oggi solo il 10% è sotto la media dei 35 anni di età. Così serve un grande piano di formazione che consenta all’Italia di mettersi in linea con gli altri Paesi europei.
Il Parlamento è abbastanza consapevole della centralità del tema dell’innovazione per il futuro del Paese?
Soprattutto tra i giovani colleghi c’è una naturalezza di approccio che è positiva e ci fa guardare con ottimismo al futuro. Anche nel management delle società pubbliche ho trovato un livello di sensibilità alto, e ho potuto contare sulla collaborazione di giuristi qualificati che hanno saputo affrontare con competenza le questioni giuridiche connesse all’utilizzo delle nuove tecnologie. Se c’è uno sforzo corale del Governo e del Parlamento su questi settori guadagneremo rapidamente tempo, aiuteremo il Paese a crescere e renderemo più efficiente e forte il nostro settore pubblico.
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