Sull’agenda digitale si continua a scrivere e discutere. Lo hanno fatto già diversi esperti ed appassionati. Molte sono le proposte, apprezzabili, e moltissime sono le critiche all’incredibile lentezza con cui le istituzioni e soprattutto la politica (di qualsiasi colore) si stanno muovendo. Alle parole servono i fatti, è la posizione più condivisa. E i fatti sono urgenti.
Il Governo attuale, come il precedente (certamente ottimo il lavoro di Caio), ne è consapevole, almeno a parole, ma nei fatti siamo in una situazione di attesa, o meglio di stallo, perchè è un’attesa nel vuoto. Non vorrei che cadessimo facendoci molto male. Restiamo in attesa dei prossimi passi del Governo, al di là dei buoni propositi.
Nel frattempo ho due domande. La prima la posi anche al precedente Governo, senza ricevere risposta. L’ottimo – lo ripeto – lavoro di Mr. Agenda Digitale ha decisamente risentito di questo vuoto. Come possiamo elaborare e implementare un’agenda digitale senza una vera politica industriale? Il secondo quesito è necessariamente legato al primo: non stiamo forse perdendo tempo con un’agenda che sostanzialmente riguarda cose passate, visto che il mondo va molto più veloce di noi? Non è forse meglio saltare un paio di giri e provare – forse con ambizione – a fare un’agenda futura?
La risposta alla prima domanda è ovvia. Il paese – soprattutto per quanto riguarda la PA – deve recuperare terreno su questioni talmente ovvie (firma e identità digitale fattura elettronica, etc. ) che non serve un piano di sviluppo, basta guardare agli altri e cercare di star loro dietro. Verissimo, ma a mio modesto – molto modesto – avviso, serve una cornice di riferimento che indichi la direzione di sviluppo che vogliamo perseguire e come. Sulla totale assenza – decennale – di una politica industriale e di sviluppo ho e noi di Competere abbiamo ampiamente scritto, evidenziandone le conseguenze drammatiche su qualsiasi riforma. Tale assenza si ripercuote sulla digitalizzazione del paese. Qui la solita domanda amletica: sono le PMI che non investono nel digitale o è l’assenza del digitale che non permette alle imprese di investire? Una politica di sviluppo potrebbe per esempio prevedere un sostegno alle imprese. Questo può avvenire in due modi: il classico e fallimentare incentivo a chi investe; o il più efficace e dirompente disincentivo a chi non investe. Non accetti la carta di credito, paghi di più, per intenderci. Non usi l’home banking, paghi, peggio per te.
L’Agenda è ormai il peggiore dei rompicapo che non riusciamo a risolvere, perchè siamo cognitivamente bloccati. Siamo ossessionati da questioni che lo sviluppo tecnologico e i modelli organizzativi e culturali ed esso associati hanno già superato. Dovremmo forse provare a pensare al futuro. Abbiamo perso la sfida, fino ad oggi, proviamo ad anticipare il domani, arrivandoci prima degli altri. Si obietterà che la costruzione del presente è fondamentale per i passaggi successivi. E’ vero, ma come molti paesi in via di sviluppo dimostrano, ci sono delle fasi tecnologiche che possono essere saltate. L’importante è sapere accettare la tecnologia nei propri processi organizzativi e culturali. O meglio, sfruttare l’opportunità tecnologica per trasformare i propri modelli di business, il rapporto con i cittadini e gli utenti. Altrimenti si incorre nell’errore in cui siamo caduti di non aver ripensato i processi ma di averli semplicemente digitalizzati. Scansionare un documento con la mia firma serve a poco. Mi interessa farlo sparire.
Dal Governo, al di là dei proclami, ci si aspetta proprio questo: una rivoluzione digitale, un ripensamento totale dei processi organizzativi e del ruolo dello Stato. Altrimenti ci dobbiamo accontentare di continuare a emettere una fattura proforma, poi una fattura e poi la ritenuta e poi la sua certificazione, anche se tutte digitalizzate.