Pirateria, si combatte con le leggi o con il mercato?

Aumenta il consumo legale di musica online, ma le associazioni dei discografici protestano: non basta. E chiedono norme ad hoc

Pubblicato il 28 Gen 2010

E’ una fase di crescita vertiginosa e di continue evoluzioni
quella che sta vivendo il mercato della musica digitale. Fioccano
nuove soluzioni, nuove partnership, e si cercano nuovi modelli di
business più convenienti e che non scontentino nessuno: artisti,
operatori di Tlc, case discografiche e consumatori.

 A piangere più di tutti fra le categorie della filiera sono
certamente le case discografiche, che non sono riuscite né a
porre un argine alla pirateria né a massimizzare i profitti di
un mercato, quello digitale, che hanno subìto più che
accettato: nonostante la crescita l’online della musica non
riesce ancora a compensare le perdite dovute al calo degli
acquisti di cd, come rivela l’ultimo Digital Music Report di
Ifpi, la federazione internazionale dell’industria
discografica. Nell’anno appena trascorso il fatturato è stato
di 4,2 miliardi di dollari e rappresenta più di un quarto dei
ricavi di tutta la musica venduta. Un miliardo e mezzo i singoli
brani venduti (+ 10% rispetto al 2008), mentre gli album
registrano un incremento ancora maggiore (20%). Eppure, dicono le
major, “il digitale non riesce ancora a compensare
l'andamento negativo dei prodotti tradizionali: le vendite
online sono cresciute a livello globale del 940% dal 2004, ma il
fatturato totale della musica è sceso di circa il 30% nello
stesso arco temporale”. A causare questo declino secondo Ifpi
è la pirateria. Per questo la federazione chiede interventi
legislativi che frenino il p2p e invoca la collaborazione dei
provider.

Accanto ai Paesi dove è stato applicato l’intervento
legislativo di cui parlano le major (in Europa, Francia e Spagna)
c'è il mercato, dal quale si moltiplicano le iniziative per
incoraggiare le vendite legali.

Tutto comincia con iTunes, grazie al quale Apple si appropria di
un’enorme fetta del mercato. Oggi però la Mela non è più
sola. Ultima in ordine di tempo Hp che, grazie a un accordo con
la britannica Omnifone, precaricherà sui 16 modelli dei suoi pc
il servizio MusicStation, un grande catalogo musicale il cui
modello di business si differenzia da quello di Apple: non pay
per download, ma abbonamento mensile per l’accesso illimitato.
Vodafone registra il successo dei suoi servizi musicali: da
quando ha stretto accordi con Emi, Sony, Universal e Warner per
offrire brani Drm-free, gli abbonati al servizio hanno raggiunto
quota 450mila. Il sito FreeAllMusic ha raggiunto pochi giorni fa
un accordo con Emi e Universal per ampliare la propria offerta in
streaming.

Apple dal canto suo, oltre a iniziare a vendere concerti live
grazie alla partnership con Live Nation, ha appena ampliato a
livello paneuropeo l’accordo (finora riguardava la sola Gran
Bretagna) con Psr For Music, l’associazione che tutela i
diritti dei musicisti anglosassoni. L’intesa permetterà
all’azienda di Steve Jobs di offrire in tutta Europa i
contenuti delle etichette musicali del Regno Unito.

Anche il formato potrebbe non restare indenne di fronte a questo
profluvio di cambiamenti. La società Bach Technology ha messo a
punto MusicDna, nuovo formato che si propone di mandare in
pensione l’Mp3: oltre a immagazzinare file musicali riesce a
incorporare anche testi delle canzoni, copertine, retro degli
album, aggiornamenti sulle date dei concerti e collegamenti in
tempo reale alle pagine web degli artisti, fornendo al
consumatore un’esperienza totalizzante.

In arrivo dunque il colpo di grazia al mercato illegale? Il
dibattito è più che mai aperto. Anche in Italia l’industria
dei discografici (la Fimi) chiede di coinvolgere i provider, ma
pensa sia più importante lavorare sotto l’aspetto educativo.
Dobbiamo sensibilizzare i consumatori – dice il presidente
dell’associazione, Enzo Mazza – al rispetto delle norme sul
diritto d’autore. Tullio Camiglieri, coordinatore italiano del
Centro studi per la protezione del diritto degli autori e della
libertà di informazione, invoca anch’egli l’intervento dei
provider. Ma, dice, serve contemporaneamente uno slancio del
mercato. E cita uno studio britannico secondo il quale oltre il
20% degli utenti smetterebbe di usare siti illegali se trovasse
la stessa varietà di offerta di contenuti nei siti legali: la
pirateria cresce anche a causa di un’offerta legale ancora
inefficace.

Punta sul mercato anche il chitarrista dei Radiohead Ed
O’Brien, che non risparmia aspre critiche alle case
discografiche. I Radiohead hanno sempre creduto nell’online e
sono stati i primi a rendere disponibile il loro album sul web,
offrendolo sul proprio sito gratis in versione Drm free.
O’Brien si è detto sorpreso del fatto che le major stiano
ancora combattendo la transizione al digitale: “La pirateria
non sta uccidendo la musica”, ha detto in un video-intervento
al Midem di Cannes. “Se la musica piace veramente, i
“pirati” compreranno il cd, – chiosa il musicista – e se
non comprano il cd acquisteranno il biglietto per il concerto, o
una maglietta e altri oggetti di merchandising”. Il problema
secondo O’Brien è tutto nel comportamento delle major, che nel
mondo digitale stanno usando modelli di business analogici.
“Bisogna autorizzare più musica, più siti che ne vendono,
più modelli simili a Spotify; e bisogna farlo con prezzi un
po’ più economici per fare in modo che la musica possa
competere con il p2p”.
 

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