A partire dal 2001 inizia a calare la spesa Ict pubblica in rapporto alle entrate, passando dall’1,07% allo 0,65% del 2013, che corrisponde a circa la metà della spesa media dell’Ue28. Oggi siamo a un punto di svolta. È, infatti, ormai consolidata l’idea, emersa con il governo Monti, rafforzata da Letta e fatta propria dall’attuale esecutivo, che la riforma della PA è digitale o non è. Ma per passare dal tempo delle agende a quello dei progetti attuativi, occorre sciogliere alcuni nodi di estrema criticità.
Oggi “digitalizzare” significa confrontarsi con la dimensione innovativa delle tecnologie di rete – web, cloud, mobile, internet delle cose. Ciò implica un’operazione di rivisitazione dei processi, delle procedure e degli assetti organizzativi della PA, in un’ottica end to end.
Non v’è dubbio, infatti, che gli attuali assetti verticalizzati e segmentati della macchina pubblica, ciascuno proprietario di un orticello di informazioni parcellizzate, costituiscano la causa principale dell’inefficienza, della complicazione burocratica, della mancanza di trasparenza e di controllo sulla spesa e della resistenza al cambiamento. L’obiettivo di razionalizzare e interconnettere le migliaia di banche dati oggi sparse nei data center (4mila? 11mila?) è dunque strategico. Un esempio eloquente a questo proposito viene dal Dl 34, appena convertito in legge dal Parlamento, che ha introdotto il Durc online, ovvero la verifica della regolarità contributiva nei confronti dell’Inps, dell’Inail e delle Casse edili esclusivamente per via telematica. Si tratta di una semplificazione importante, ma è fattibile? Secondo i tecnici della Camera, allo stato attuale, appare difficile, perché le banche dati dei diversi enti oggi non si parlano fra loro, pertanto le amministrazioni, per implementare il servizio online, dovranno necessariamente spendere per giungere all’interconnessione, mentre la legge prevede che il tutto avvenga a costi invariati. Ma d’altro canto solo l’interconnessione consentirà di trasformare l’immenso patrimonio informativo della PA in big data, veri e propri giacimenti di valore per nuovi servizi e applicazioni.
È impensabile affrontare un tale processo di cambiamento senza individuare chiare, reali e autorevoli responsabilità, allocate ai massimi livelli della macchina pubblica. Oltre alla governance politica che con la delega al ministro Madia è stata è stata posta in campo da Palazzo Chigi, occorre poter contare su un Cto (Chief Technology Officer) della PA a cui affidare la responsabilità esecutiva tecnica per la realizzazione delle piattaforme strategiche, “trasversali” ai vari enti/ministeri; inoltre va identificata una figura di Cto anche in ogni ministero ed ente, garante dell’interoperabilità dei vari settori, centrali e periferici. Infine, le fondamenta della riforma digitale della PA vanno costruite su un ricambio delle competenze e generazionale qualificato, mettendo in campo azioni per la formazione digitale dei dipendenti e per l’immissione dei nuovi skills Ict su big data, cloud, gestione web.