Di Marco (Zte Italia): “L’Italia riparta dagli investimenti stranieri”

Cosa segna il barometro dell’Ict italiano in questo inizio del 2010? Siamo andati a sentire i pareri dei maggiori top manager delle aziende del settore. Il direttore marketing di Zte Italia: “La politica deve mettere a punto norme ad hoc per lo sviluppo di nuove tecnologie”

Pubblicato il 02 Feb 2010

Quest’anno la ripresa sarà solamente parziale. Il 2009 è stato
l’anno più duro, dovuto ad una crisi economica, non solamente in
Italia, ma in tutti i paesi industrializzati. Ci vorranno, a mio
parere, almeno 2-3 anni per avere una ripresa totale, anche se non
si ritornerà mai a quei livelli così elevati che hanno drogato il
mercato a fine degli anni 90.
Ci troveremo davanti una grossa sfida, visto che la brusca frenata
degli investimenti, durante tutto il 2009 e anche parte del 2008,
hanno portato ad un invecchiamento degli impianti e delle reti
degli operatori, visto che un anno e mezzo è un periodo lungo, in
cui la tecnologia subisce diversi notevoli cambiamenti.

Con una ripresa degli investimenti nel 2010, gli operatori si
troveranno di fronte ad un dilemma: effettuare l’aggiornamento
dei loro sistemi con tecnologie attualmente disponibili o attendere
le nuove soluzioni che troveranno la loro maturità nel 2010-2011
(la fotonica fino a casa dell’utente, le reti Full IP, soluzioni
mobili con caratteristiche Lte, etc.). Nel 2007, si parlava di
avanzate tecnologie delle telecomunicazioni che avrebbero trovato
la loro luce nel 2011, iniziando anche a sperimentarle nelle loro
forme prototipale e rendendo l’Italia all’avanguardia in questi
settori.
Purtroppo, la situazione “paludosa” dei suddetti sedici mesi ci
ha fatto guadagnare le ultime posizione delle classifiche
pubblicate, sia Europee che mondiali. L’immobilismo ha creato
notevoli danni, sia per motivi di elevati costi di manutenzione dei
“vecchi” impianti (aumentando gli Opex) sia frenando gli
investimenti in nuovi sistemi (riduzione Capex).
Gli operatori di Tlc dovrebbero prendere decisioni coraggiose
pianificando forti investimenti nelle tecnologie, così da
proteggere la loro sopravvivenza e garantire successi futuri in un
mercato estremamente competitivo.Gli investimenti devono ripartire,
per non far cascare il nostro Paese nel “baratro”
dell’obsolescenza tecnologica, ma principalmente in quello
industriale. È corretto esaminare i costi, ma devono essere presi
in considerazioni anche aspetti riguardanti l’efficienza, le
motivazioni e l’operatività, attuale e futura,
dell’investimento. Inoltre, i fornitori dovranno inserire nelle
loro proposte anche aspetti riguardanti elementi prettamente
finanziari: nuove modalità di pagamento, coinvolgimento di Enti
finanziari e condivisione degli introiti.

Uno dei più grossi problemi è quello di non incentivare lo studio
approfondito delle nuove tecnologie da parte di aziende italiane
che operano nel settore. Già da anni, la ricerca e lo sviluppo
sono praticamente morti nel nostro paese, con il capitale
intellettuale che fugge all’estero. Invertire questa tendenza,
più che decennale, in tempi brevi è praticamente impossibile;
ma  trovare una soluzione intermedia in cui aziende nazionali non
siano solo rivenditori di prodotti e sistemi sviluppati
all’estero ci arricchirebbe, attirando investimenti di capitali
stranieri ed evitando la “colonizzazione”. Bisogna creare un
ecosistema in grado di permettere la nascita di nuove iniziative.
Non vedo attenzione ai grossi temi strategici (energia, trasporti,
Tlc, informatica) da parte dei nostri politici, indipendentemente
dallo schieramento. Il ruolo della politica dovrebbe essere quello
di definire una strategia
generale per il Paese e mettere a punto norme ad hoc per rendere
possibile lo sviluppo e la proliferazione delle nuove tecnologie.

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