Mentre Google apre all’Europa sul diritto all’oblio prevedendo un modulo per “essere dimenticati” nei servizi di ricerca su Internet, il co-fondatore dell’azienda Larry Page, in un’intervista col Financial Times, cerca di rassicurare i 500 milioni di utenti europei del web: Google è più disposta a capire i timori per la privacy, anche se continua a seguire la core mission di sempre: “organizzare l’informazione mondiale e renderla universalmente accessibile e utilizzabile”. Ma Page, oggi 41enne, deve riconoscere che la mission di Google è dovuta venire a patti con le pressioni politiche e legali che arrivano dalla nostra sponda dell’Atlantico.
“Il punto è quali sono i grandi valori cui si tiene; non si riesce mai a essere perfetti su tutto”, dice Page. Esiste il pericolo che comuni persone siano esposte agli eccessi dei media e Google vuole fare la sua parte per “evitarlo”. Per il Ft, il modo in cui Google adatterà i suoi principi alle preoccupazione europee sulla privacy sarà un test importante della sua capacità di evolversi da innovatore del web a una delle grandi utility dell’informazione nell’era online. Alla sentenza europea sulla privacy Google ha dato una risposta pragmatica. L’azienda già ha dei meccanismi per la rimozione di materali pedopornografici o che violano il diritto d’autore e Page sostiene che garantire il diritto all’oblio non è una reale novità. Tanto più, dice Page, che la Corte limita il tipo di informazioni che possono essere rimosse a quelle che le persone possono considerare fortemente lesive.
Nelle due settimane dopo la sentenza, Google ha ricevuto “qualche migliaio” di richieste di rimozione di intormazioni private dai risultati di ricerca in Europa e dopo il lancio del nuovo modulo per il diritto all’oblio la web company prevede una vera valanga di domande. Molte arrivano da personaggi pubblici che vogliono eliminare dati imbarazzanti per la loro immagine dal motore di ricerca. Ma c’è un limite a quanto si può eliminare: la sentenza europea chiede che le informazioni rilevanti sui politici restino nei risultati di ricerca. Inoltre, Page teme l’effetto che la rimozione di tanto materiale possa avere “nel tempo sulla democrazia, se tale rimozione non viene effettuata nel modo giusto”. “Anch’io sono un personaggio pubblico e anche su di me sono state scritte e circolano informazioni non vere”, dice Page. “Ci convivo, perché ci sono abituato”.
Anche le persone comuni potrebbero restare deluse dalle intenzioni di Google. L’azienda può respingere una richiesta se pensa che le informazioni che si vogliono cancellare siano di “pubblico interesse”. Per esempio, informazioni che vanno da interventi chirurgici mal eseguiti a manutenzioni scadenti da parte di un meccanico o un idraulico fino alle condanne per frode, non verrebbero eliminate da Google perché viene ritenuto nell’interesse del pubblico conoscere certi fatti.
Ancora, limitare l’accesso all’informazione potrebbe produrre “conseguenze inaspettate” che si manifesterebbero solo dopo anni, continua Page. Per esempio, secondo Google, i dati sanitari delle persone dovrebbero essere sempre noti per aiutare la ricerca: lo stesso Page, che soffre di una rara forma di paralisi delle corde vocali, dice che metterà online tutte le sue informazioni cliniche per aiutare la ricerca e l’altro fondatore di Google, Sergey Brin, ha già postato sul suo blog il suo profilo genetico da cui emerge una predisposizione al morbo di Parkinson.
Oggi i dati sanitari sono spesso protetti dalle ragioni della privacy ma per Page “Se condividessimo questi dati in tutta Europa e negli Stati Uniti, potremmo salvare 10.000 vite quest’anno, e tra 10 o 20 anni forse ci riusciremo, ma nel frattempo lasciamo che le persone muoiano”. Ma tante informazioni in mano a pochi colossi del web non consegnano un potere enorme nelle mani di queste aziende? “In generale, se i dati sono conservati da aziende come Google è meglio che se fossero tenuti dai governi, perché noi siamo molto più attenti a preservare la nostra reputazione: non sono sicuro che il governo ci badi allo stesso modo”, risponde Page. E dopo lo scandalo del Datagate, Page ammette: “Abbiamo sistemi politici e legali imperfetti. Ma è bello che le persone se ne preoccupino in Europa perché abbiamo bisogno di questo tipo di vigilanza su quello che i governi fanno”.
Insomma, una concessione all’Europa e alle esigenze degli europei: grandi gruppi come Google ne hanno bisogno, per rendere meno profondo il divario nelle attitudini verso la Internet privacy che spesso sembra allontanare le sue sponde dell’Atlantico. Ma Page avverte: non bisogna esagerare con le reazioni a livello politico e legale, altrimenti “E’ come fare il bagno al bebè e poi, per eccesso di zelo, buttare insiema all’acqua sporca anche il bambino”.