“Un settore trascurato e vilipeso”. Così il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd), che ha partecipato alla mobilitazione nazionale, ha definito il comparto dei call center che, ha ricordato, conta “80 mila addetti, per un fatturato che supera 1,3 miliardi di euro”. Damiano ha sottolineato come “dopo le stabilizzazioni avvenute nel 2007 sotto il Governo Prodi, non ci sono stati altri interventi, che ora bisogna tornare a fare”. E ha aggiunto come con “le delocalizzazioni” e “le gare al ribasso” sul posto di lavoro anche “la privacy non è più garantita”.
Riflessioni queste che lo stesso Damiano aveva fatto in un’intervista al nostro giornale, nella quale sottolineava che per evitare abusi è necessario “creare margini di convenienza nel costo del lavoro, premiando le aziende che rispettano le leggi”.
“L’azione più incisiva è quella sulla riduzione del cuneo fiscale che avrebbe un doppio beneficio – puntualizzava il presidente della commissione Lavoro – il lavoro costerebbe meno all’imprenditore che, dunque, sarebbe più incentivato a mantenere le attività in Italia, e per i lavoratori ci sarebbero meno tasse in busta paga”.
La commissione Lavoro della Camera, presieduta da Damiano, ha avviato un’indagine conoscitiva sulle condizioni contrattuali applicate nei call center.
Stamattina è partito da piazza della Repubblica a Roma il corteo degli operatori dei call center per chiedere il rilancio del settore che impiega circa 80 mila addetti. A indire lo sciopero e la manifestazione nazionale sono stati i sindacati di settore Slc-Cgil Fistel-Cisl e Uilcom-Uil.Il corteo, aperto dallo striscione “Contro delocalizzazioni e dumping”. Secondo i dati resi noti dai sindacati, l’adesione allo sciopero ha superato l’80%. “Da Almaviva a Call&Call, da Teleperformance a Comdata si registrano percentuali di partecipazione dell`87% con punte del 98%, con interi servizi di assistenza bloccati”, fanno sapere dalla Slc.
Un tempo era considerato un lavoro per giovanissimi ma oggi i call center sono piedi di 35-40enni. “Oggi – spiega Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil – migliaia di ragazzi (e non solo), che lavorano nei call center gestiti in esternalizzazione, sfileranno a Roma per chiedere il miglioramento delle condizioni di lavoro. Nei call center lavora una generazione che quando è entrata, circa 10 anni fa, era appena laureata o giovanissima. Adesso si tratta di persone di 35-40 anni, spesso sposate e con famiglia, per le quali il lavoro nel call center da lavoretto è diventato negli anni un lavoro vero e, spesso, l’unica fonte di sostentamento”.
Il settore sua vivendo una lunga stagione di crisi e vertenze. “Il sindacato – spiega ancora Azzola, chiede di migliorare le condizioni di chi lavora nei call center, perché il lavoro nei call center c’è, ma è pagato sempre di meno”.
L’Italia, è l’opinione delle organizzazioni sindacali, dovrebbe premiare le aziende serie, quelle che lavorano in regola. Il Paese si deve allineare alla direttiva 2001/23/CE a tutela dei lavoratori e con il fine anche di non delocalizzare le attività nei Paesi extra Ue . Il “dumping” con le società estere è molto forte, spiega Azzola: “Occorre tenere presente che all’estero ci sono colossi da 100-200 mila persone che gestiscono società che si occupano sia di outbound che di inbound. E che hanno tarato le loro strategie aziendali sull’efficienza e sull’economia di scala. In Italia, invece, abbiamo 2.270 aziende: di queste solo 10 sono medio-grandi. Le altre sono realtà piccole se non polverizzate”. Per questo “molti imprenditori del settore in una qualche maniera hanno appoggiato questa protesta: perché noi vogliamo garantire anche alle nostre aziende la sopravvivenza”.
“Con la manifestazione di oggi – evidenzia Salvo Ugliarolo, segretario nazionale della Uilcom – le donne e gli uomini provenienti da tutte le regioni, impiegati in un settore che ormai versa in situazioni drammatiche, intendono coinvolgere il Governo e l’opinione pubblica in questa battaglia per la salvaguardia dei posti di lavoro e del futuro del Paese. Ci aspetta un periodo difficile una lotta al fianco dei lavoratori e delle lavoratrici che vedono minato non solo il loro avvenire ma anche il loro presente; il rischio precariato è sempre più vicino e non possiamo stare a guardare un settore che occupa solo in Italia circa 80.000 persone, andare in pezzi a causa di delocalizzazioni selvagge, assenza di regole precise e latitanza della politica”.
Giorgio Serao, segretario nazionale Fistel, si rivolge direttamente al governo: “Chiediamo il rispetto dell’articolo 24 bis del decreto Sviluppo del 2012 – insiste Serao – che obbliga la società ad avvisare 120 giorni prima il ministero del Lavoro e il Garante della privacy del trasferimento dell’attività in un Paese straniero e prevede per i clienti il diritto di scegliere se essere assistiti da un operatore all’estero o in Italia”. Altro sos: “L’estensione dell’articolo 2112 del codice civile per il cambio di appalto in modo che il dipendente mantenga stessa paga e diritti”.