Diritto all’oblio a raggio limitato. Google ne garantirà l’applicazione solo sui propri domini europei, laddove le informazioni oggetto di domanda di cancellazione da parte di cittadini comunitari continueranno a comparire, ovverossia ad essere regolarmente indicizzate sulle varianti extra-Ue del motore di ricerca. Incluso il portale madre, google.com. Lo ha confermato giovedì 5 giugno un rappresentante del colosso di Montain View intervenendo nel corso di una conferenza a Bruxelles.
Dopo la storica sentenza sul “diritto ad essere dimenticati” della Corte di Giustizia Ue, Google era corso tempestivamente ai ripari mettendo online un modulo attraverso il quale gli utenti europei possono richiedere la rimozione di risultati non rilevanti o offensivi sul proprio conto. “Stiamo creando un comitato consultivo di esperti che analizzi attentamente questi temi. Inoltre, nell’implementare questa decisione coopereremo con i garanti della privacy ed altre autorità”, aveva spiegato un portavoce di Big G.
Giovedì Marisa Jimenez, consigliere per la privacy dell’azienda, ha tuttavia puntualizzato che “riguardo l’ambito di applicazione, la rimozione dei dati sarà circoscritta ai nostri domini europei”. La procedura coprirà solo i 28 stati membri dell’Ue, con l’aggiunta di Islanda, Norvergia, Lichtestein e Svizzera, in quanto aderiscono al mercato unico europeo attraverso l’associazione di libero scambio Efta. La rappresentante ha anche aggiunto che “google.com non è interessato dalla decisione”. Per fare un esempio concreto, significa che le informazioni rimosse dai risultati di google.es o google.it, resteranno accessibili su google.com/br (la versione brasiliana) o google.ru (Russia) etc.
Secondo quanto indicato durante lo stesso evento da Joe McNamee della Edri, associazione che difende i diritti su Internet, in ottemperanza alla sentenza il diritto all’oblio verrà inoltre attuato da Google solo limitatamente alle ricerche relative ai nomi personali. “Gli utenti – è l’opinione dell’attivista – potranno sempre risalire ai dati cancellati utilizzando parametri di ricerca differenti”, dal momento che “l’informazione rimarrà comunque indicizzata”.
Stando a quanto riportato nei giorni scorsi dal Wall Street Journal, le domande di rimozione pervenute al motore di ricerca statunitense avevano già sforato quota 40mila ad appena 4 giorni dalla messa in rete del modulo. La fetta più consistente arriverebbe da Regno Unito e Germania. “Nella maggior parte dei casi – ha rivelato la Jimenez – i reclami riguardano contenziosi giudiziari o informazioni pubblicate dalla stampa”. Tra i postulanti vi sarebbero anche diversi politici europei.
Accogliendo il ricorso di un cittadino spagnolo contro il quotidiano La Vanguardia e Google Spain, la Corte europea aveva stabilito il 16 maggio scorso che anche il gestore di un motore di ricerca online è responsabile del trattamento, e dunque della eventuale eliminazione dei dati personali pubblicati su siti terzi. Il tribunale del Lussemburgo aveva motivato la propria sentenza chiamando in causa l’ultima Direttiva Ue sulla Privacy risalente al 2005. L’avvocato generale della stessa Corte, in un parere reso nel 2013 sul medesimo caso, aveva però espresso un avviso di segno opposto.
L’introduzione del diritto all’oblio figura tra i capisaldi del nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati personali che, dopo aver incassato il via libera dell’Europarlamento in aprile, è attualmente al vaglio degli stati membri. In un rapporto pubblicato nel 2013, l’Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione (Enisa) aveva acceso un faro sulle criticità tecniche legate ad un’applicazione estensiva dello stesso principio.
Per parte loro, i Garanti per la privacy nazionali dell’Ue hanno istituito un comitato incaricato di analizzare i profili applicativi della sentenza.