Cloud, mobility, social media, Internet of things, Big data e la conseguente possibilità di gestire nuove tecnologie, nuove applicazioni, nuovi modelli di business. E tutti i problemi connessi: dalla difficoltà dei nuovi progetti al Bring your own device (Byod). Tutto questo comporta radicali cambiamenti nel modo stesso in cui viene concepito l’IT aziendale, senza contare il bisogno di accedere ai dati e ai servizi in tempo reale, da qualsiasi strumento e in qualsiasi momento.
Il piatto della tecnologia, sia IT che Tlc, oggi è straordinariamente ricco e complesso. “Sono convinto che l’IT si stia trasformando – dice al Corriere delle Comunicazioni durante una conferenza organizzata a Los Gatos in California da NetEvents Rohit Mehra, vicepresidente Network Infrastructure di Idc – e non solo per quanto riguarda quel che fanno nei loro datacenter Google e Facebook, ma anche per tutti i Fortune 500, i Fortune 1000, tutte le aziende che stanno mettendo in piedi progetti IT sempre più differenziati rispetto al passato”.
Che nome ha un evento epocale del genere? “Possiamo chiamarla – dice Mehra – ‘terza ondata’ dell’IT, un nuovo modello che noi di Idc abbiamo scelto di chiamare ‘terza piattaforma’ in cui accadono tantissime cose: miliardi di apparecchi vengono connessi alla rete, c’è il cloud, c’è la virtualizzazione, c’è la mobilità e soprattutto gli analytics dei Big data: tutto questo cambia in maniera radicale la maniera in cui all’IT viene chiesto di dare i suoi servizi al resto dell’azienda”. Alla base, fattore di trasformazione che sta scombinando i giochi, c’è però un pugno di tecnologie, un manipolo di sigle che ha la potenzialità di rivoluzionare tutto. Una novità che sta avendo un ruolo paragonabile a quello che la virtualizzazione ha avuto in ambito server e storage.
Si tratta della virtualizzazione e astrazione della parte di networking dei datacenter: Software Defined Networking (Sdn) e Network Functions Virtualization (Nfv). “Sono due concetti differenti ma complementari”, dice il direttore di TI Lab di Telecom Italia, Sandro Dionisi. Gli Nfv servono a virtualizzare le funzioni di apparecchi di rete dedicati: switch e routers che funzionano su hardware specifici vengono virtualizzati nel software e possono girare su hardware generici. Sostanzialmente come succede con la virtualizzazione dei server che diventano macchine virtuali, astrazioni che girano nel software. Invece gli Sdn sono la parte di controllo di tutto il networking di uno o più datacenter tramite una console software che permette di orchestrare sia gli apparati di networking hardware che quelli fisici, e che infatti si chiama “orchestratore” come l’hypervisor delle macchine virtuali tradizionali.
“È nato tutto – dice Guido Appenzeller, co-fondatore di Big Switch Networks e uno dei padri del movimento Sdn – da una letteraccia di Google ai produttori di soluzioni di rete per i datacenter. Diceva Google: i vostri prodotti sono costosi, non facilmente programmabili, non all’altezza di quello che possiamo fare con i server e lo storage nei nostri datacenter e via dicendo. Da quella mail di sei anni fa è partita la rivoluzione con le università di Berkeley e Stanford nella Silicon Valley come apripista della teoria informatica e poi il tessuto di imprenditori e capitalisti di ventura che caratterizza questa parte di mondo”. Alla base dell’esistenza stessa del movimento Sdn e Nfv c’è l’idea che debbano esistere standard condivisi e aperti. Questo è l’unico modo per consentire a un’unica soluzione software di controllare tanti hardware diversi, oppure per poter creare macchine virtuali che agiscono e sono gestibili come la loro contropartita hardware, siano essi router o switch. “Senza l’apertura – ci dice Said Ouissal, vicepresidente Jupiter Networking – non ci potrebbero essere Sdn e Nfv”. Da qui l’importanza dei comitati e soprattutto dei consorzi di impresa nel definire standard comuni.
Il cambiamento che queste tecnologie introducono è radicale e può essere declinato e interpretato in molti modi: virtualizzazione del datacenter, spostamento dell’intelligenza ai bordi, cloud direttamente nella rete condiviso tra datacenter diversi, trasformazione dell’approccio alla sicurezza di rete, flessibilità, Api economy, velocità e programmabilità della rete con una velocità prima impensabile, ben oltre il cloud tradizionale.
“In futuro la distinzione tra applicazioni e networking sparirà – dice Hongwen Zhang, Ceo di Wedge Networks – perché le app saranno scritte direttamente nella rete”. L’idea piace molto anche nel mondo delle telco, che con Sdn e Nfv hanno in mano un’arma capace di trasformare radicalmente il loro modello di business. “Bisogna però anche ricordare – dice Sean Hackett, Managing Director di 451 Research – che per molti Cio tutto questo sta aggiungendo complessità al datacenter. La domanda è semplice: quanto manca ancora prima che l’infrastruttura interna possa evolvere in maniera veloce e i servizi accessibili venire semplificati?”. La domanda è aperta.