L’importanza delle nuove tecnologie nelle indagini di polizia e nei processi penali è crescente, incrociandosi con un’attenzione dei media che ha generato importanti format televisivi (come “Chi l’ha visto?”), soprattutto quando il terrorismo ha smesso di monopolizzare, in Italia, l’attenzione sui fatti di sangue. Nel triste caso della tredicenne Yara scomparsa misteriosamente nel breve tragitto fra la palestra e la casa il controllo delle celle telefoniche ha avuto un ruolo essenziale nel determinare chi c’era e chi non c’era in quel tratto di strada, sempre che avesse scelto di tenere con sé (anche spento) il cellulare. Nell’incertezza, si fecero intercettazioni telefoniche a tappeto che – per colpa di traduzione inaccurata dall’arabo – rischiarono di costruire un mostro nella figura di un muratore marocchino. Una soluzione altamente desiderata in modo inconscio dalle piccole comunità: il mostro non è uno di noi, viene da fuori, è uno zingaro, un extracomunitario, un alieno da cui dobbiamo difenderci.
Per fortuna non è andata così. La genetica sembra aver fornito la soluzione attraverso la ricostruzione del dna dell’assassino e la sua disperata ricerca, disseppellendo perfino un morto che, se fosse stato vivo, avrebbe avuto molti problemi per scacciare da sé l’accusa. Poi la ricerca del figlio del defunto, della madre segreta del figlio di una relazione di anni ormai dimenticati. Quando si dice genetica non si deve dimenticare l’informatica: è il computer che permette di gestire enormi quantità di informazioni genetiche e di incrociarle con dati di altra provenienza e di mole altrettanto massicce (i tabulati telefonici, ad esempio) alla ricerca di correlazioni significative.
Si dice che questa indagine resterà negli annali della criminologia: mai la ricerca avventurosa di un dna aveva avuto un tale sviluppo, nemmeno in una sceneggiatura cinematografica. Si dice che è un’indagine che prefigura il futuro, ma è anche una ricerca antica, che postula una piccola comunità chiusa, dove tutti sono parenti alla lontana e in cui si può fare l’albero genealogico di un intero paese. Oggi ci sono tecniche di fecondazione artificiale in cui il figlio riconosciuto e amato non è biologicamente generato dal padre, o dalla madre, o da tutti e due. Magari ha il patrimonio genetico di una donna indiana e di un donatore di chissà dove. Sarà sempre più difficile risalire da un dna vicino a quello cercato ai suoi parenti, che non necessariamente lo sono in senso biologico. Il diverso, ormai, non solo abita nell’appartamento di fronte ma è dentro di noi, nel dna di una persona che amiamo. In qualche “big data” c’è scritto.