IL FOCUS

Tv&Tlc, è tempo di over-the-top-television

Ai servizi delle web company americane si affiancano sempre più quelli offerti dai broadcaster tradizionali: ormai Tv e Web sono due mondi destinati a “fondersi” in nome della convergenza

Pubblicato il 23 Lug 2014

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La battaglia non è più tra quelle che tradizionalmente venivano definite televisioni. Il digitale ha già rimescolato le carte e il mercato adesso è un campo aperto dove scorrazzano soggetti fino a poco tempo fa considerati “altra cosa”, spesso magari con sufficienza. Gli “invasori” si chiamano Google, Apple, Amazon e (arrieccolo) Netflix. Il quadro, a inizio luglio, è stato ufficialmente consegnato da Eric Gerritsen, Executive Vice President Communication & Public Affairs di Sky alla Commissione Trasporti della Camera: “Più che ad una minaccia, rispetto alla quale andare alla ricerca di anticorpi, preferiamo guardare alla sfida”. La sfida sta producendo una profonda mutazione dei broadcaster. E le manifestazioni sono le più diverse. La rifocalizzazione di Mediaset sull’Italia con la vendita di D+ a Telefonica, che potrebbe diventare un partner strategico; il grande cantiere Rai che sta cogliendo l’occasione digitale per rivedere tutta l’organizzazione interna e ripensarsi anche in vista della scadenza del contratto di concessione (2016); gli accordi di diverso livello con chi fa funzionare la streaming tv, cioè le telco (Rai con Tim, Mediaset con Vodafone, Sky con Fastweb ma anche con Tim); il rimodellamento dell’offerta non più secondo palinsesti ma in base ai target e ai contenuti.

“È in corso un ripensamento generale dell’offerta Rai”, dice Carlo Nardello, direttore Sviluppo Strategico della società di Viale Mazzini. La strategia? “Brand uguale ma formati diversi. Stesso prodotto ma declinazioni diverse secondo le condizioni di consumo e il tempo a disposizione”. Come, del resto, si fa da tempo nel largo consumo. E come adesso impone il digitale anche per la tv. Per questo in Rai sono stati fissate delle regole sul valore del brand, l’accountability e la raccolta pubblicitaria. Se è stato rotto l’accordo con YouTube, è perché una delle tre non è stata accettata dalla piattaforma di Google. E la Rai ha deciso di riportare tutti suoi contenuti nel portale Rai.tv: l’app ha avuto 5,5 milioni di download e il consumo di video è in costante aumento (oltre 7 milioni di browser unici al mese).

Su YouTube resta la vetrina, lo streaming si fa in casa. “Sta veramente succedendo qualcosa di speciale in questa azienda. La tecnologia si sta integrando con l’organizzazione e i contenuti. Adesso la sfida è cogliere tutte le occasioni di valorizzazione, anche con un servizio premium, da sviluppare in collaborazione con un grande partner tecnologico”, anticipa Nardello. La sperimentazione dovrebbe partire entro il 2016 e il modello potrebbe essere simile a quello che sta studiando Bbc: dopo un certo numero dalla messa in onda per rivedere i video bisogna pagare. La proposta commerciale è ancora tutta da studiare. “Se negli anni 50 la gente andava nei cinema per vedere tv, secondo lo schema dei mass media, ora la comunicazione è da punto a punto, com’è tipico della media company”.

IL FOMedia company, parola che nell’audizione Gerritsen definisce così: una compagnia “legata alla centralità dei contenuti e non a questa o quell’altra tecnologia”. E i contenuti devono viaggiare ovunque e comunque, come prevede il nuovo servizio Skyonline, ufficialmente definito Ott, over the top, acronimo che di solito si usa, guarda caso, per indicare Google e Apple, Yahoo o Facebook, e che adesso ha assunto un altro significato: Over the Top Television.
“La tv nel web, il web nella tv”, ha sintetizzato Piersilvio Berlusconi in occasione dell’annuale presentazione dei palinsesti Mediaset, rivendicando un primato temporaneo (“Siamo il primo editore video su Internet in Italia con 700 milioni di video visti, più di 2 milioni al giorno”). Il nuovo passo della compagnia di Cologno Monzese si chiama Infinity. “Non più la declinazione su Internet di un’offerta esistente come erano Videomediaset o Premium, ma un servizio nativo che va incontro al nuovo modo di consumare il video”, spiega Chiara Tosato, responsabile del progetto lanciato lo scorso dicembre. Non c’è contratto, ma si fa un abbonamento come per Spotify. Si resta solo se piace.

“La parola d’ordine è liberta e flessibilità”, spiega la Tosato che anticipa che presto Infinity sarà presente su nuove piattaforme, a partire da Chromecast, la “chiavetta tv” di Google. “La strategia è essere più pervasivi possibili”. Anche questo è un modo per superare le “asimmetrie normative” denunciate alla Camera da Gerritsen. Il solito discorso: Google&C fanno lavori di altri (editoria, tv, etc) ma a modo loro. “Non chiediamo regole per la nuova tv”, ha detto in Commissione il vicepresident di Sky. “Ma alleggeriamo le regole per tutti”. La battaglia è solo agli inizi.

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