Il provvedimento che fissa i criteri per la quantificazione del canone sulle frequenze Tv finisce nel mirino del Governo italiano e dell’Unione europea, che mettono sotto la lente d’ingrandimento l’ultima decisione dell’Agcom sulla materia. La finanziaria de 2000, scrive Aldo Fontanarosa su Repubblica, stabilisce che ogni azienda che detiene le frequenze versi come corrispettivo allo Stato l’1% del proprio fatturato: una norma che ha messo finora le emittenti più “ricche” nella condizione di versare di più rispetto a quelle che generano un giro d’affari più contenuto (23 milioni la Rai e 20 Mediaset nel 2012). Ma il nuovo regolamento dell’Authority sposta il canone dalle aziende editoriali a quelle tecnologiche (Rai Way per la Tv di Stato ed Elettronica Industriale per il Biscione), collegando il canone al numero e alla qualità delle frequenze, a prescindere dalla ricchezza che generano.
Proprio contestando questa scelta la Commissione Ue ha inviato il 18 luglio all’Agcom una lettera in cui chiede chiarimenti e solleva dubbi sulla scelta. Una missiva in cui Linsley McCallum e Anthony Whelan citano la procedura d’infrazione aperta nel 2005 dell’Ue nei confronti dell’Italia in cui si contestavano i “privilegi” di cui avrebbero goduto le Tv più importanti nell’assegnazione delle frequenze ai tempi dell’analogico. “I contributi da versare – si legge nella lettera citata da Repubblica – devono essere giustificati, trasparenti, non discriminatori. L’importo dei diritti non può ostacolare l’accesso di nuovi operatori di servizi di telecomunicazione. Le pari opportunità tra i vari operatori economici devono essere assicurate”. Per cui “il nuovo sistema di contributi non dovrebbe comportare condizioni più gravose per i nuovi entranti né nuovi vantaggi per i soggetti esistenti, ulteriori a quelli che hanno ottenuto per effetto delle passate violazioni”. Sullo sfondo c’è l’eventualità che la procedura d’infrazione non venga chiusa.
Il consiglio Agcom in cui si discuterà delle modifiche da apportare al regolamento è in calendario per il 6 agosto, dopo che della lettera della Commissione si era già parlato nella riunione del 29 luglio. Intanto a fissare gli importi del canone dovrà essere, sulla scorta dei criteri stabiliti dal Garante, il ministero dello Sviluppo economico, e in particolare il sottosegretario alle comunicazioni Antonello Giacomelli. Che ha come primo obiettivo quello di arrivare al più presto alla chiusura della procedura di infrazione. Così Giacomelli ha indirizzato una lettera dai toni preoccupati ad Agcom, che chiede all’authority di lavorare sulla questione in collaborazione con il ministero dello Sviluppo economico insieme al quello dell’Economia, dal momento che – si legge su Repubblica – il nuovo regime del canone garantirà allo Stato meno risorse delle attuali per almeno 4 anni. In sintesi, secondo quanto anticipato dal quotidiano, il sottosegretario invita Agcom a rinviare ogni decisione finale e approfondire l’argomento, per evitare che il Governo debba essere costretto a spingersi a regolare direttamente il sistema dei contributi inserendo la questione in uno dei progetti di riforma del settore Tv.