Agcom ha scelto di non approvare la delibera che avrebbe dovuto fissare i criteri per i canoni di utilizzo delle frequenze tv. Ha sì individuato i criteri, nella riunione odierna di consiglio, ma ha deciso di non renderli attuativi, al momento, “alla luce dell’intendimento del Governo, comunicato dal Sottosegretario di Stato allo sviluppo economico, di adottare modifiche al vigente assetto legislativo della materia nel prossimo mese di settembre. La decisione dell’Autorità è stata assunta nello spirito di leale collaborazione che caratterizza, nel rispetto della reciproca indipendenza, i rapporti con gli Organi costituzionali”, si legge in una nota dell’Autorità.
I criteri (secondo lo schema di provvedimento che era andato in consultazione pubblica) avrebbero rivoluzionato il modo con cui il ministero avrebbe dovuto calcolare i canoni: e cioè in base non più al fatturato dell’operatore ma al numero di frequenze in concessione.
Di qui una lettera che secondo indiscrezioni di stampa nei giorni scorsi il sottosegretario alle comunicazioni Antonello Giacomelli avrebbe mandato, con toni preoccupati, ad Agcom. Chiedeva all’authority di lavorare sulla questione in collaborazione con il ministero dello Sviluppo economico e con quello dell’Economia, dal momento che il nuovo regime del canone (secondo quei criteri) avrebbe garantito allo Stato meno risorse delle attuali per almeno quattro anni e avrebbe anche rischiato di penalizzare le emittenti minori. Sullo sfondo, anche il rischio che l’Europa non chiudesse la procedura d’infrazione, rafforzato da una lettera della Commissione Ue ad Agcom e Mise, che evidenziava come i nuovi criteri di canone mettessero nuovamente in discussione l’assetto pluralista del sistema radiotv.
Il sottosegretario Antonello Giacomelli invitava Agcom a rinviare ogni decisione finale e approfondire l’argomento, per evitare che il Governo debba essere costretto a spingersi a regolare direttamente il sistema dei contributi inserendo la questione in uno dei progetti di riforma del settore Tv.
Ed è proprio il senso di quanto deciso oggi: Agcom ha formalmente individuato i criteri, ma nella sostanza li ha messi in standby. Di fatto ha lasciato la palla al ministero.
“I criteri – si legge nella nota – sono stati individuati a conclusione di un lungo e accurato lavoro istruttorio, sulla base di una proposta del relatore Francesco Posteraro, che ha tra l’altro tenuto nel massimo conto – in applicazione del dovere di leale cooperazione di cui all’articolo 4(3) del Trattato sull’Unione Europea – le osservazioni formulate nei giorni scorsi dalla Commissione europea. L’Autorità ha così dato applicazione al vigente quadro normativo, frutto del combinato disposto dell’articolo 3-quinquies, comma 4, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44) e dall’art. 35 del Codice delle comunicazioni elettroniche. Norme in virtù delle quali il contributo grava oggi sugli operatori di rete, e non più sulle emittenti, come avveniva nel passato”.