In Germania un politico chiede che Google venga divisa in entità separate, in Francia un ministro dice che Google è una minaccia alla sovranità nazionale. Le critiche a Big G in Europa piovono e per il New York Times sono solo l’espressione di un’opposizione crescente alle aziende tecnologiche americane, simbolo del dominio hitech statunitense che l’Europa non riesce a uguagliare ma anche di un governo, quello Usa, che anche attraverso le aziende hitech avrebbe spiato i cittadini di tutto il mondo. La situazione ha raggiunto il culmine lunedì quando l’Antitrust europeo ha chiesto a Google di apportare ulteriori modifiche al suo algoritmo di ricerca.
Il primo accordo siglato da Google con le autorità europee, a febbraio, richiedeva solo aggiustamenti minori. Se ora Big G non interverrà con maggior decisione, il deal potrebbe essere a rischio e l’Ue potrebbe procedere con accuse formali, col rischio per Google di incorrere in enormi multe e di dover modificare radicalmente il modo in cui opera in Europa.
In Germania è stato Sigmar Gabriel, ministro dell’Economia e vice-cancelliere, a sostenere che la posizione dominante di Google è tale da portare a riflettere sull’opportunità di un suo spezzettamento. In Francia invece è stato il ministro Arnaud Montebourg ad attaccare il colosso americano.
Il problema non riguarda solo Google. Uber, la nota app per prenotare le auto con conducente, è stata vietata in Germania mentre Apple e Amazon sono finite sotto il mirino per le loro politiche fiscali e i regolatori stanno ancora studiando l’acquisizione di WhatsApp da parte di Facebook. Ma le dimensioni e il potere di Google fanno sì che sia questa l’azienda che subisce le maggiori pressioni. Le accuse, come noto, si rivolgono al predominio nella ricerca, che Google sfrutterebbe in maniera sleale per guadagnarsi un vantaggio in altri settori, dai video di YouTube alle applicazioni di Google Play. Ma c’è un altro fronte antitrust aperto in Europa: i regolatori hanno avviato un’indagine preliminare sul sistema operativo Android e un possibile comportamento anti-concorrenziale di Mountain View.
“Abbiamo paura di Google,” ha scritto Mathias Döpfner, chief executive del colosso tedesco dell’editoria Axel Springer in una lettera aperta a Eric Schmidt, executive chairman di Google. Döpfner ha usato la sua influenza per coalizzare gli editori europei ma anche il supporto tedesco all’elezione di Jean-Claude Juncker come capo della Commissione europea. Google da parte sua si è mossa per contrastare queste pressioni: dal 2010 ha triplicato il budget che destina alle sue azioni di lobby a Bruxelles, portandolo a 2 milioni di dollari l’anno. Google ha anche raddoppiato il numero di gruppi esterni in cui è entrata a far parte per trovare sostenitori, come la European privacy association, un ingresso criticato da molti perché rappresenterebbe un conflitto di interessi.
“Continuiamo a lavorare con la Commissione europea per risolvere le criticità evidenziate”, ha affermato Google, mentre Schmidt ha risposto direttamente agli attacchi degli editori dicendo che non è vero “che promuoviamo i nostri prodotti alle spese della concorrenza”. Ma, a detta del New York Times, molto è cambiato da quando Google è stata fondata, a fine anni ’90. Allora era vista come un’idealistica start-up il cui credo era “Don’t Be Evil”; ora gli attacchi arrivano da tutto il pianeta, dalla Cina (dove il motore di ricerca di Google l’anno scorso è stato messo al bando dal governo) agli States, dove sono oggetto di proteste anche i Google Glass, per questioni legate alla privacy.
“Non sono più gli innocenti geni dell’hitech di una volta”, afferma Thomas Tindemans, chief executive di Hill & Knowlton Strategies a Bruxelles. La percezione di Google in Europa è cambiata di pari passo con l’affermazione di un vero predominio: Google controlla quasi il 90% delle ricerche nel nostro continente (Russia esclusa), mentre negli Usa ha i due terzi del mercato della search.
“Google era una start-up interessante all’inizio e un sito molto utile, ma le cose sono cambiate”, afferma Jan Philipp Albrecht, membro del Partito europeo dei Verdi che sostiene la nuova legge sulla protezione dei dati personali. “Per i politici in Europa è chiaro che esiste il dovere di agire e regolare il modo in cui Google domina il mercato”.