“Telecom Italia deve guardare con sempre più attenzione alle sinergie che si potrebbero creare anche nell’immediato futuro, con quelli che prima erano considerati ‘nemici’, produttori di contenuti in primis”. Ne è convinto Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di Strategie e imprenditorialità alla Sda Bocconi.
Ci sono i contenuti nel futuro di Telecom Italia?
Ci devono essere più contenuti e mi pare che il piano industriale dell’Ad Marco Patuano vada proprio in questa direzione. Il mercato, l’evoluzione tecnologica e le abitudini degli utenti hanno messo in sempre maggiore evidenza il fatto che oggi, chi compra banda larga, lo fa per fruire di video, musica & co. In questo quadro non ha più senso litigare con Netflix o fare la guerra a Youtube a meno di non voler soccombere. Serve, invece, creare un territorio di scambio valoriale con i produttori di contenuti.
Giudica positivamente il piano Patuano, dunque?
Non è certo un piano “rivoluzionario”, ma è comunque un piano realistico che mira ad aumentare gli investimenti laddove la domanda è più alta, ovvero nel mobile, e che destruttura l’asimmetria asfittica a favore del fisso che ha frenato la crescita della compagnia in questi ultimi anni. Inoltre c’è una nuova attenzione al rapporto con Ott e affini. E l’offerta a Vivendi per Gvt ne è stata un esempio, anche se è stata anche un po’ “spinta” dal comportamento di Telefonica.
Che alla fine ha incassato l’ok dei francesi. È stato un fallimento per Telecom Italia, a suo avviso?
Non lo credo. Un eventuale merger con Vivendi sarebbe stata una forzatura del tutto intempestiva dubbia dal punto di vista economico-finanziario. La verità è che Bollorè, nonostante il suo progetto fosse quello di un grande accordo italo-francese, si sta disimpegnando nelle tlc in Francia. Forse, invece, si sarebbero chiarite le cose sul fronte governance
In che senso?
Oggi Telecom Italia è una public company “accidentale” non avendo la dignità e la dimensione di una vera public company, alla Vodafone per capirci. L’ingresso di Vivendi nel capitale di Telecom – ancora possibile se Bollorè accetta di essere pagato per Gvtin parte con l’8,3% della azioni di Telefonica detenuti in TI – avrebbe portato più agevolmente la compagnia italiana ad imboccare quella strada.
Quello che di buono ha subito generato il caso Vivendi è stato quello di far rialzare l’interesse su Tim Brasil. Si deve vendere o non si deve vendere?
A mio avviso Telecom Italia non deve vendere. Tim Brasil non è una partecipazione azionaria come un’altra ma è un “pezzo” di Telecom Italia, un importante asset industriale di cui non ti puoi disfare senza colpo ferire.
E se arriva l’offerta jumbo?
Anche in quel caso la valutazione da fare non riguarda solo il prezzo ma anche l’impatto che un “exit”totale dal Brasile potrebbe avere su Telecom Italia. È chiaro che la cessione avrebbe impatti postivi sull’indebitamento nel breve periodo, ma nel medio-lungo sarebbe più conveniente cedere una quioa di Tim Brasil e rimanere nel capitale, continuando magari a fare da fornitore alla società, generando così economie di scala.
Lo scorporo della rete potrebbe ridare fiato a Telecom Italia?
Il dibattito “scorporo sì, scorporo no” mi pare quantomeno datato. Si tratta di un’operazione che non ha senso industriale alcuno perché riguarda solo la rete di trasmissione che è in rame, in un momento in cui gli investimenti sul fisso stanno calando vertiginosamente e, quando ci sono, vengono dirottati sulla fibra. Inoltre, oggi, mi pare anche in contraddizione con quanto prevede – almeno stando alle bozze – lo Sblocca Italia che dovrebbe tagliare le tasse a chi investe in Ngn. Mi pare un chiaro segnale del fatto che debba essere il mercato a decidere sulle reti.