Andare in Corea Sud è come fare un paradossale viaggio all’incontrario: si ritrova quello che in Italia non si è mai fatto, almeno dal punto di vista tecnologico. Maurizio Dècina, professore emerito del Politecnico di Milano e noto esperto di reti digitali, non ha peli sulla lingua: qualche mese fa è tornato a Seul e ha rivisto dopo venti anni i progressi fatti da quel Paese. È l’occasione per mettere a fuoco il tema delle reti 4G e delle future reti di quinta generazione oltre che per capire dove si trovano alcune delle innovazioni-chiave per il futuro che i coreani già utilizzano e che vedremo arrivare nel nostro Paese solo tra cinque o dieci anni.
Professore, perché la Corea è un paese al contrario rispetto all’Italia?
Dante lo metterebbe nel settimo cielo del paradiso, mentre farebbe precipitare l’Italia nel tredicesimo girone dell’inferno, quello dei traditori, perché non siamo solo agli antipodi geograficamente: la Corea è il nostro opposto anche nel modo di creare la società digitale.
L’Italia però ha molti talenti tecnologici e centri di ricerca di eccellenza.
Il punto è un’altro. Questi signori hanno avuto un governo filo-tecnologico da venti anni. I ministri dell’economia e delle infrastrutture in Corea sono stati economisti e ingegneri che hanno progettato ed eseguito per due decenni una ristrutturazione totale di quel Paese, puntando tutto sulla tecnologia. Dico le università, i centri di ricerca ma anche le fabbriche, i cantieri, la pubblica amministrazione. I soldi sono arrivati dallo stato e dai privati. I progressi sono stati giganteschi.
Lei è stato uno dei testimoni di questo cambiamento.
Sono stato la prima volta in Corea nel 1994, venti anni fa, per la firma di un accordo tra la società degli ingegneri americani delle Tlc di cui ero presidente e la corrispondente società coreana. Dopo venti anni sono tornato lo scorso marzo e ho visto un Paese totalmente cambiato. Samsung e le altre aziende tecnologiche hanno preso il sopravvento soprattutto nel settore dell’elettronica di consumo: smartphone, televisori e via dicendo. Ma la novità è che stanno entrando sempre più rapidamente nel mercato dei sistemi complessi: erano eccellenti nell’elettronica di consumo, oggi lo stanno diventando per l’hardware e software come giapponesi, cinesi e americani.
Si potrebbe parlare di un digital divide tecnologico più che di una grande distanza geografica tra l’Italia e la Corea?
Certo. Pensiamo alla banda larga. La diffusione di internet in quel Paese è spettacolare, con una media di download oltre i 60 Mbit/s, rispetto ai 6 Mbit/s italiani: all’altezza di quel che succede a Singapore e a Hong Kong. La penetrazione supera il 100% e coinvolge l’ecommerce, le piccole e medie industrie, la scuola e la pubblica amministrazione. L’eccellenza Corea punta da tempo e in maniera pianificata alle reti senza fili a partire dal Cdma coreano per arrivare alla partnership con gli standard 3Gpp e poi 5Gpp, che definirà le reti di quinta generazione
Perché il 4G-Lte è strategico?
C’è la velocità di download e l’allocazione delle frequenze, che vanno assieme. In Italia Lte è basilare con i 20 MHz assegnati che permettono di arrivare a 100 Mbit/s di velocità di download. Invece con l’aggregazione di tre, quatto, fino a cinque porzioni di spettro, “fette” da 20 MHz, i coreani assieme ai cinesi e ai giapponesi già oggi arrivano con Lte Advanced ai 450 Mbit/s. Non si fermano lì, perché puntano a un Gigabit al secondo (Gbit/s) con celle di un paio di centinaia di metri di raggio. Ma non c’è solo la velocità.
Cos’altro rende Lte importante da un punto di vista strategico?
Oltre all’impiego esclusivo del protocollo IP, la cosa più importante è la latenza. Con Lte si può lavorare nella Internet of Things, focalizzandosi sulla comunicazione tra oggetti intelligenti, la cosiddetta Machine to Machine (M2M). Questi sistemi richiedono latenze minime, ritardi di frazioni di secondo che la rete Lte appositamente progettata permette. Questo abilita servizi formidabili per le smart city, garantendo grandi prestazioni alle applicazioni M2M critiche, ad esempio, il controllo del traffico veicolare, i sistemi di telemedicina, la gestione delle reti smartgrid di energia. Inoltre Lte consente broadcasting di informazioni su protocollo IP all’interno delle celle, per esempio per servizi di videostreaming di interesse locale, servizi di prossimità all’interno di stadi di calcio per rivedere i goal o shopping plaza per la pubblicità.
Nel nostro Paese manca un’infrastruttura di rete adeguata?
Manca molto di più. I progetti della Corea sono stati pensati dal governo. Le reti sono state pianificate centralmente. Gli investimenti sono enormi: pensiamo alle antenne di trasmissione. Alla base c’è l’innovazione delle C-Ran, Cloud Radio Access Network. Questi sistemi di celle, a prescindere che siano per il 3G, il 4G o il futuro 5G, permettono di avere tantissime celle di dimensioni più piccole, gestite centralmente dal cloud che contiene tutta l’intelligenza. È una innovazione nata in casa Alcatel nel 2009 che sta cambiando la forma delle reti. Oggi una stazione radiobase, una torre costa circa 150mila euro e nel nostro Paese ce ne sono fino a 20mila per operatore. In Giappone sono a quota 80mila ma coprono il doppio della popolazione. Con le torri C-Ran e sistemi Rru, Radio Remote Unit, se ne potranno fare centinaia di migliaia se non milioni a costi molto bassi, tutte connesse da fibra ottica al cloud dove risiede l’intelligenza per l’elaborazione.
Cosa cambierà dal punto di vista pratico?
Celle velocissime indoor, negli shopping plaza, nelle strade, per far parlare tra loro tutti gli strumenti. E poi, con gli apparecchi di quinta generazione che arriveranno tra dieci anni, ci saranno reti eterogenee che gestiranno contemporaneamente connessioni 5G ma anche wifi, Lte e via dicendo. È la virtualizzazione della rete mobile basata sul paradigma Sdn, del Software Defined Network, la rete definita dall’utilizzo che il software la comanda.
Passerà tutto da quelle reti?
No, moltissimo sarà locale, tramite reti ad hoc P2P tra dispositivi, che hanno bisogno solo di prossimità per connettersi. È la Device to Device communication, D2D. Sulla IoT siamo abbastanza avanti, sulla D2D ci vuole ancora tempo. Il punto chiave è che il ruolo tradizionale degli operatori e soprattutto il guadagno che viene dalla voce e dai servizi a valore aggiunto è finito. Sta per cambiare tutto.