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Canone frequenze, soluzione “nuova” con una “vecchia” legge

Alla vigilia della decisione del sottosegretario Giacomelli emergono strade in grado di superare i nodi posti dalla delibera Agcom. Torna in pista l’ipotesi prelievo sul fatturato. Il commissario Nicita: “Integrare la 488 con il nuovo regolamento”. D’Angelo: “Nodi da sciogliere all’interno dell’authority”

Pubblicato il 06 Ott 2014

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Canone frequenze, alla vigilia delle decisioni del ministero delle Comunicazioni, si intravedono strade in grado di superare i nodi emersi all’indomani della delibera Agcom. Il nuovo sistema di tassazione che prende di mira gli operatori di rete ha scatenato grandi polemiche nel settore, fra i politici, sui giornali. Tre i problemi che vengono sollevati da più parti: minor entroito per lo Stato, soprattutto nel 2014. “Sconto” agli operatori ex dominanti nell’analogico, Mediaset e Rai che secondo alcune previsioni risparmieranno 40 milioni. E infine l’eccessiva tassazione chiesta ora agli operatori per l’uso delle frequenze: decisione tanto più strana considerando che l’Uk, storico paese-guida nella gestione virtuosa dello spettro radio, ha deciso che per l’uso delle frequenze i broadcaster dovranno pagare allo Stato solo 180mila sterline l’anno a multiplex. Da Agcom non si prevede un minor gettito, però: a regime, si fa notare, lo Stato incasserà intorno ai 56 milioni l’anno. Anche se si specifica che in effetti le frequenze “non sono una risorsa scarsa, quindi non ha senso farle pagare un’enormità”, e non si può pretendere un salasso dal solo settore operatori di rete che vale al massimo 500 mln di euro.

A chi spetta risolvere i nodi? Al governo, dice Agcom. Ad Agcom, dicono alcuni esperti. Ma intanto una soluzione si fa largo: perché non utilizzare, in tandem con le nuove regole Agcom, la “vecchia” 488? Le legge che, fra l’altro, ha permesso allo Stato fino all’anno scorso di riscuotere tributi sia per le attività di operatori di rete sia per l’attività di editori. Un’”integrazione” fra la 488 e il nuovo regolamento Agcom permetterebbe di far quadrare i conti entro la fine dell’anno.

“C’è un grande equivoco da sciogliere – dice ai microfoni di Presiperilweb il commissario Agcom Antonio Nicita -, ovvero: il nuovo contributo pagato dagli operatori di rete è interamente sostitutivo della vecchia legge 488 o costituisce solo una sua parte? Dalla risoluzione di questo nodo normativo dipende la soluzione del danno finanziario per lo Stato”. Secondo Nicita, se la quota richiesta agli operatori di rete è “solo una parte del tutto, allora non c’è buco finanziario”.

Parte degli aspetti controversi, del resto, non devono necessariamente essere demandati a un intervento del governo. Dice nel corso dello stesso programma radiofonico Nicola D’Angelo, magistrato, ex commissario Agcom: “I nodi devono essere risolti all’interno di Agcom”.

Premessa: fino all’anno scorso le emittenti venivano “tassate” sulla base della legge 488 del 1999 che chiedeva l’1% del loro fatturato, derivato principalmente da due voci: attività di editori (contenuti) e attività di operatori di rete (frequenze). Arriva il digitale e le cose cambiano: le due attività si distribuiscono su soggetti diversi. Da un lato l’editore, dall’altro l’operatore di rete: due soggetti diversi. Nel 2012 un dl Monti prevede che dal gennaio 2013 venga costruito un sistema di contributi per l’utilizzo delle frequenze televisive. E qui entra in gioco Agcom. Con il cambio di passo operato da Agcom il prelievo sposta la mira da un mercato che viaggiava sui 5 miliardi (fatturato di Rai e Mediaset, negli anni d’oro della pubblicità) a un business che vale dieci volte meno: Rai e Mediaset, come operatori di rete, più Persidera, fatturano complessivamente non oltre i 500 milioni. Come spiega il commissario Antonio Martusciello al sito Formiche “Nel nuovo regime normativo il soggetto passivo d’imposta è diverso, non è più l’emittente concessionaria (con il suo fatturato) ma il solo operatore di rete”.

Delle due “voci” su cui si basava il vecchio prelievo – editore e operatore di rete – dunque, ne sparisce una: quella sull’editore. Che, invece, la 488 “conteneva” in sé. All’Agcom fanno notare che il loro procedimento in effetti doveva riguardare solo gli operatori di rete. Significa che una tassa sugli editori pertiene le leggi, non ai regolamenti Agcom. Perché allora è sparita dal frasario degli addetti ai lavori la 488, data per defunta nonostante sia stata applicata per tutto il 2013 (ben oltre il termine previsto da Monti)?

Problema risorse. Il cambio di passo fornisce previsioni poco simpatiche: il prelievo dello Stato sposta la mira da un mercato che viaggiava sui 5 miliardi (fatturato di Rai e Mediaset, negli anni d’oro della pubblicità) a un business che vale dieci volte meno: Rai e Mediaset, come operatori di rete, più la nuova Persidera, fatturano complessivamente non oltre i 500 milioni.

La palla ora spetta al ministero dello Sviluppo. Che potrà decidere un intervento legislativo per compiere il miracolo. “Stiamo valutando l’opportunità di una normativa che sospenda l’effetto di queste determinazioni” ha detto il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli. Una “modifica” della legge sottintende che quella attuale non permette altre soluzioni. Ma se invece la soluzione fosse sotto gli occhi di tutti? Una legge che c’è già, appunto, dal 1999: la 488.

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