STRATEGIE

MediaTek alla conquista dei mid market, avanti sull’Lte

La società taiwanese differenzia le strategie di business: spinta sugli smartphone economici nei mercati emergenti e soluzioni per l’Internet of things nei mercati maturi. Naddell: “I Paesi in via di sviluppo accoglieranno con più facilità la filosofia dei wearable device”

Pubblicato il 16 Ott 2014

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Sono due le parole chiave per definire il futuro delle tecnologie mobile: super mid market e Internet of things. E dovrebbero rappresentare anche i punti di riferimento per gli operatori di telecomunicazioni in cerca di nuovi modelli di business capaci di traghettarli fuori dallo stallo verso cui stanno scivolando le tradizionali figure dei service provider. È questa la visione di MediaTek (multinazionale taiwanese da 4,5 miliardi di dollari di fatturato, specializzata in semiconduttori, chipset e hardware di base per dispositivi digitali, dai modem all’home entertainment passando naturalmente per tablet e smartphone), che ha deciso di aggredire i mercati degli handset Lte, puntando da una parte su quelli che ancora per poco potranno essere chiamati emerging market, dall’altra sullo sviluppo di soluzioni che permetteranno a telco e produttori di offrire servizi e device di nuova generazione – in chiave soprattutto wearable – nei Paesi che possono essere definiti senza se e senza ma maturi.

Il top management di MediaTek ha infatti presentato ieri a Londra un piano di espansione globale puntellato su nuove partnership e nuovi prodotti. Se era già noto l’impegno con Google per lo sviluppo del progetto AndroidOne, grazie al quale nascerà una nuova stirpe di smartphone dalle alte prestazioni ma dal prezzo accessibile, la società taiwanese ha reso nota anche l’alleanza con Spotify per la creazione di remote speaker ad hoc e la collaborazione con Kazam, che ha realizzato il Tornado 348, lo smartphone più sottile al mondo (5,5 mm di spessore per meno di 100 grammi di peso e un display da 4,8 pollici, disponibile da metà novembre). È stata inoltre annunciata l’apertura di una nuova sede a Oulu, in Finlandia, per lo studio di soluzioni di connettività avanzata per smart device. Ma il pezzo forte è la nuova piattaforma MT6735, che consentirà a tutti i partner di MediaTek attivi nelle aree in via di sviluppo del pianeta di offrire smartphone evoluti ed economici grazie a costi di R&D dell’hardware significativamente ridotti.

“Stiamo fondando le nostre attività su quello che sarà il nuovo centro di gravità dell’economia mondiale”, ha spiegato Johan Lodenius, corporate vice president and chief marketing officer di MediaTek. Il super mid market, che creerà una classe media a ridosso di tutti i continenti, con maggiore peso specifico sull’Asia e sull’Africa, è imminente, e la nostra missione è garantire una buona user experience su smartphone che dovranno costare meno di 100 dollari. Ma avere una vision consolidata e anche un certo vantaggio strutturale oggi non basta: dobbiamo essere flessibili, perché non sappiamo ancora con esattezza come evolverà la situazione. Per prepararci abbiamo attivato tre nuovi centri di ricerca e sviluppo, e solo nel 2014 abbiamo assunto in tutto il mondo 2000 nuove risorse”.

Il centro di eccellenza dell’organizzazione è MediaTek Labs, quello che l’azienda stessa definisce un “developer centric ecosystem”, ovvero un ecosistema a misura di sviluppatore. È in questo ambiente a metà tra laboratorio e community che i tecnici di MediaTek accolgono le richieste di produttori di hardware e operatori mobile per dare vita a sistemi capaci di abilitare mercati e business del futuro. Il Corriere delle Comunicazioni ha parlato con Marc Naddell (nella foto), che di MediaTek Labs è il coordinatore.

“Oggi le telco cercano dei ‘companion device’ che le aiutino a stimolare servizi specializzati”, ha detto Naddell. “Accessori hi tech da collegare al telefono per amplificare l’esperienza e migliorare produttività quando si è in movimento, o per lo svolgimento di attività specifiche. Richieste di questo tipo ci arrivano soprattutto dagli operatori del Nord America, che stanno cercando di capire come sviluppare il segmento dei wearable e in che modo applicare sensori agli oggetti che usiamo quotidianamente. I mercati emergenti, con molta probabilità, abbracceranno in maniera assai più semplice e naturale il concetto di Internet of things, perché in molti casi in Paesi come India, Cina e Brasile il telefono cellulare è l’unico punto di accesso a contenuti e servizi evoluti, mentre in occidente la user experience è frammentata su una moltitudine di device specializzati. Dal canto nostro abbiamo deciso di affrontare questa trasformazione facendo affidamento sui partner. Lavoriamo in un’industry in cui si le aziende spesso sono a caccia di acquisizioni, ma noi la pensiamo diversamente: va creato un ecosistema con collaborazioni forti nelle specifiche aree di competenza, cooperando ma rimanendo concentrati ognuno sul proprio lavoro. La vera sfida da vincere perché decolli l’Internet of things? Il prolungamento della durata delle batterie dei device, o l’ideazione di sistemi che permettano di ricaricarli senza doverli collegare a un presa elettrica. Si possono creare dispositivi straordinari, ma se ci si dimentica di indossarli o portarli con sé diventano del tutto inutili”.

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