INTERNET

Magna Charta di Internet: ce n’è davvero bisogno?

Presentata la Carta dei diritti di Internet voluta dalla presidente della Camera ed elaborata da una commissione guidata da Stefano Rodotà. È evidente che il tema della libertà della rete costituisca un aspetto fondamentale per le nostre democrazie e che regimi più o meno autoritari tentino sempre più spesso di restringerla. C’è dunque una necessità di definire regole di garanzia? La sostanziale autoregolazione della rete di per sé non è sufficiente?

Pubblicato il 20 Ott 2014

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Era l’anno 2008 e argomenti come quello della salvaguardia della net neutrality sembravano svolazzi di un sognatore. Anzi, mi capitò, proprio quell’anno, di sentirmi rispondere da uno dei più noti esperti italiani che preoccuparmi di “quelle cose” era un esercizio da “figlio dei fiori”. Io comunque non mi persi d’animo e senza ricorrere alle droghe psichedeliche avviai una riflessione, nella mia qualità di commissario Agcom, con l’aiuto di alcuni giovani funzionari dell’Autorità. Da questa riflessione nacque il primo documento istituzionale sui temi della rete (un’indagine conoscitiva e poi una consultazione, in particolare sulla neutralità e i diritti di accesso).

Ho fatto questa premessa per sgombrare il campo da fraintendimenti su come la penso e su quello che dirò a proposito del documento appena pubblicato dalla commissione incaricata dalla Presidente della Camera. In particolare, sulla Dichiarazione per i diritti fondamentali di internet, redatta da un gruppo di lavoro presieduto da Stefano Rodotà. Il testo si compone di 14 articoli relativi ad una serie di principi che vanno dal diritto all’accesso, alla net neutrality, al diritto all’oblio, alla riservatezza. Un lavoro importante, fatto da persone competenti, e che sicuramente servirà ad approfondire le discussioni sulla necessità o meno di giungere ad un Internet bill of rigths (espressione forse un po’ troppo solenne ma cara agli esperti della materia). È del tutto evidente, infatti, che il tema della libertà della rete costituisca ormai un aspetto fondamentale per la nostra vita e per le nostre democrazie e che regimi più o meno autoritari tentino sempre più spesso di restringerla. C’è dunque una necessità di definire regole di garanzia? La sostanziale autoregolazione della rete di per sé non è sufficiente? Possono essere date diverse risposte. Personalmente credo che meno le istituzioni pubbliche si occupano di internet e meglio è. Regole imposte dall’alto (cioè da organismi nazionali e sovranazionali) finiranno, anche con i migliori intenti, per dare giustificazione a chi pensa che regolare la rete si può. La fortuna, in senso romano, di internet è stata quella di promuovere tante qualità e opportunità in un ambiente libero dai condizionamenti degli Stati o dei grandi interessi. E se c’è un attentato che oggi insidia questa libertà non è tanto lo smaccato tentativo di qualche caudillo di passaggio, ma l’intromissione montante delle istituzioni pubbliche.

Non è un caso che dalla patria della democrazia liberale sia venuta la maggiore minaccia alla rete (NSA), minaccia che è sempre bene ricordare si è fondata su una serie di regole giuridiche adottate negli Stati Uniti nell’interesse della sicurezza pubblica. Sarò un giurista all’antica ma penso che la nostra Costituzione e gli stessi trattati ricordati nella Dichiarazione per i diritti fondamentali di Internet (convenzione dei diritti dell’uomo e carta europea dei diritti fondamentali) siano sufficienti, se attuati, a darci quelle garanzie. Il Marco Civil o statuizioni di principio analoghi sono certamente dichiarazioni significative per la loro funzione di “risveglio della coscienza”. Tuttavia, sul punto della libertà, io resto fiducioso nei potenti mezzi della tecnologia (difficilmente contenibile) e soprattutto in ragione del diffuso rifiuto di autorità che pervade la rete.

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