Stiamo investendo risorse in modo disequilibrato. L’idea semplicistica che basta investire sull’Agenda digitale per determinare la crescita si è rivelata non vera. I dati parlano chiaro. Basta vedere i dati della banda larga per accorgersi che abbiamo investito molti soldi per arrivare ad una copertura quasi totale di banda larga (94,8% intorno ai 10Mb/s) come la Germania o la Gran Bretagna, nel 2007 eravamo al 78,5%. A fronte di una crescita della banda larga del 21% il Pil pro-capite italiano, negli stessi anni, è tornato ai livelli del 1996 (Istat). Le stime che leggiamo su molta stampa non sono evidentemente suffragate dai fatti. I paesi che crescono di più hanno sì investito in Agenda digitale e in banda larga, ma lo hanno fatto soprattutto investendo su un mix di fattori che tutti insieme hanno fatto guadagnare al sistema paese dei notevoli vantaggi.
L’Agenda digitale europea, e tantopiù quella italiana, è stata segnata da un eccesso di investimenti sulla banda larga fissa mentre non si è investito adeguatamente in ricerca, industria, formazione e alta formazione, cultura manageriale, competenze ed esperienze, cambiamento culturale e welfare. Mentre la Kroes andava in giro per l’Europa a parlare di banda larga o startup un pericoloso processo di deindustrializzazione ha portato l’unione a perdere Nokia e a mettere in crisi l’industria innovativa europea.
L’Agenda digitale europea, e di traino quella italiana, sono state condizionate da “mode” o concetti come Startup, Smart city, Open Data e così via che sono sicuramente ingredienti ma spesso hanno sviato investimenti ed energie su temi prioritari quali la formazione o la ricerca. Il risultato è stato che mentre aumentavamo gli investimenti sulla banda larga o il Miur pubblicava il bando sulle smart city da un miliardo di euro continuavano tagli sulla ricerca, sull’università, sulla scuola, la deindustrializzazione di molti settori hi tech nazionali.
Fortunatamente alcune cose cominciano a cambiare. È necessario che i diversi fattori dell’Agenda marcino di pari passo, non basta individuarne il giusto mix. In un processo di evoluzione tra la situazione presente e gli obiettivi a cui vogliamo arrivare, serve che tutti i fattori crescano proporzionalmente nel tempo. Si è dimostrato assolutamente deleterio concentrare, anche in Europa, tutto sui 30 Mb/s nella banda larga (peraltro mai raggiunti) e non voler investire con la stessa forza su altri obiettivi Europa 2020 come il 40% di laureati o il 3% di Pil investito sulla ricerca o lo sviluppo di una industria europea innovativa.
I dati sarebbero dovuti marciare insieme, ma qui sta alla abilità della politica sostenere strategie in grado di promuovere l’interesse generale. Può venirci utile allora assumere un approccio bilanciato alle politiche sul digitale. Ad esempio utilizzando le “balanced scorecard” di Kaplan e Norton e una pianificazione che promuova una progressiva evoluzione verso gli obiettivi investendo su tutti i fattori contemporaneamente, in proporzione alla loro importanza. Bisogna impostare politiche pubbliche in grado di analizzare i fenomeni e pianificare gli interventi, partendo dai numeri delle statistiche prima che delle “stime”, senza farsi condizionare da interessi di parte. Sta alla Commissione Ue, al Governo e alle Regioni reimpostare l’Agendae trasformarla in uno strumento per la crescita e il benessere. I dati dicono che è evidente l’errore di rotta e di guida degli ultimi anni.