E-health, tesoretto di 7 miliardi: le Regioni sapranno sfruttarlo?

E’ quanto potrà risparmiare la sanità italiana grazie al digitale. Mariano Corso (Polimi): “Ma serve una visione comune”

Pubblicato il 03 Nov 2014

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Sette miliardi l’anno. È quanto la Sanità italiana potrebbe risparmiare se venissero adottate soluzioni digitali negli snodi più strategici. Una cifra che, letta in uno scenario di tagli lineari, potrebbe diventare molto importante.

Ma quanto viene presa in considerazione una decisa virata verso l’innovazione digitale che sarebbe invece in grado, secondo stime effettuate da Politecnico di Milano, di compensare il sacrificio di 4 miliardi chiesto da Palazzo Chigi?

Come dimostra la stima dell’Osservatorio Ict in sanità, l’adozione di soluzioni Ict in ambito sanitario produrrebbe un beneficio prima di tutto per quegli ospedali che da un po’ di tempo vengono presi di mira per costi di spesa alti e ricoveri “evitabili”: dei 6,8 miliardi annuali di risparmio per le strutture sanitarie (115 euro pro capite) 3 miliardi verrebbero proprio dalla deospedalizzazione dei pazienti cronici, possibile grazie alle tecnologie a supporto della medicina del territorio e dell’assistenza domiciliare.

Si prevedono invece 1,39 miliardi di risparmio (sul tempo impiegato in attività mediche e infermieristiche), grazie all’utilizzo della cartella clinica elettronica; 860 milioni dalla dematerializzazione dei referti e la stessa cifra dal risparmio sui ricoveri inutili grazie alla gestione informatizzata dei farmaci. Anche per il cittadino si stimano risparmi potenziali, con l’utilizzo a tappeto di soluzioni digitali: complessivamente 7,6 miliardi suddivisi fra referti via web (4,6 miliardi), sistemi di prenotazione online (6-40 milioni), gestione informatica dei farmaci (170 milioni), medicina sul territorio e assistenza domiciliare (2,2 milioni).

E invece cosa accade nella realtà? Che nel 2013 la spesa complessiva per la digitalizzazione della sanità è diminuita rispetto all’anno prima di un ulteriore 5%, limitandosi a 1,17 miliardi di euro, l’1,1% della spesa sanitaria pubblica, 19,72 euro per abitante. Il confronto con alcuni Paesi europei, che già da anni investono più di noi nel settore ci fa impallidire: la Danimarca ci mette ogni anno 70 euro per abitante, l’Inghilterra 60.

Vediamo dunque il dettaglio italiano: nel 2013 si è scesi a 1,17 miliardi rispetto agli 1,23 del 2012. La riduzione di investimento riguarda soprattutto le strutture sanitarie. In dettaglio: 800 milioni vengono spesi direttamente da queste ultime (erano 895 nel 2012), 295 milioni dalle Regioni, 60 milioni dai medici di medicina generale. Infine, 19 milioni è la spesa Ict del ministero della Salute.

A questo quadro di investimenti ridotti si aggiunge un problema che ostacola il procedere di pari passo di tutto il Paese: l’innovazione va avanti a macchia di leopardo perché si basa unicamente sulle scelte fatte da singole aziende sanitarie, senza un piano comune: “La regionalizzazione e l’aziendalizzazione delle realtà sanitarie sono due aspetti che portano le spese della tecnologia a un livello molto basso – afferma il direttore dell’Osservatorio Ict del Politecnico Mariano Corso – . Le scelte finiscono per competere ai singoli, senza una visione comune. In questo sistema il massimo che le Regioni virtuose – Lombardia, Emilia Romagna, Toscana – hanno fatto è la definizione di linee guida nella riaggregazione dei centri di spesa in cui c’è dentro anche l’Ict”.

Prendiamo l’esempio della ricetta dematerializzata: in Emilia Romagna il percorso per arrivare a non recarsi più in farmacia con la “ricetta rossa” è partito prima dell’estate: le farmacie si sono già attrezzate, entro l’autunno lo saranno i medici di famiglia, l’entrata a regime del nuovo modo di prescrivere i farmaci è prevista nel 2015. In Lombardia l’avvio del percorso sarebbe dovuto avvenire nel mese di ottobre, ma ciascuna Asl della regione sta rallentando il percorso. Chi è andato avanti velocemente è la Provincia autonoma di Trento. Qui la parola d’ordine è smaterializzare: “Da settembre di quest’anno l’80% delle ricette viene erogato così: il cittadino va in farmacia, senza ricetta di carta, il farmaco gli viene erogato direttamente. Perché questo possa accadere deve dare il proprio consenso” spiega Diego Conforti, referente area innovazione e ricerca per il dipartimento di salute e solidarietà sociale della Provincia Autonoma. Il costo di questo progetto è di 323mila euro. E non è il solo qui. A Trento dal 2008 è avviato un progetto di Personal Health record del cittadino che può accedere alla documentazione anche da mobile, scrivere le informazioni importanti sulla sua salute, delegare l’accesso alla sua cartella clinica a uno o più familiari: sono già 40mila i cittadini che hanno aderito al sistema.

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