“L’idea è di realizzare un servizio in cui un medico specialista è disponibile in video chat. Di fatto si può paragonare a un call center. Di tecnologico c’è poco, ma il principio è affascinante: uno specialista disposto a rispondere ai quesiti di un paziente che riferisce i suoi sintomi ed è in cerca di un parere, di una diagnosi e magari anche di un trattamento”. Michelangelo Bartolo (nella foto), direttore del reparto di telemedicina del complesso ospedaliero San Giovanni Addolorata di Roma, commenta così la nuova iniziativa lanciata nei giorni scorsi da Google: sperimentare una sorta di consulto medico attraverso la videochiamata, dunque mettere in contatto l’utente con personale medico specializzato per richiedere informazioni (gratuitamente o meno non è ancora noto) su sintomi e malattie.
“Un servizio del genere ha tutte le carte in regola per crescere in poco tempo – riprende Bartolo, socio accreditato e componente gli organi collegiali della Società italiana telemedicina e sanità elettronica nonché fondatore e segretario generale della Global health telemedicine onlus – ma ha i suoi pro e i suoi contro. Nella mia esperienza di medico so bene che la visita del paziente è qualcosa di ineludibile. Ogni servizio di telemedicina presuppone che all’inizio vi sia un contatto diretto, fisico direi, tra paziente e medico. Senza di questo si rischia di creare patologie inesistenti oppure di trascurare patologie importanti”.
Lo scorso anno Google aveva lanciato il servizio di video Helpouts – attualmente disponibile solo negli Stati Uniti – attraverso il quale una serie di esperti possono assistere gli utenti in vari ambiti, compresi quelli legati alla salute e al fitness. “Ma attenzione: una cosa sono le macchine e un’altra siamo noi umani. La medicina non è una scienza esatta e fare diagnosi senza visitare un paziente può generare errori difficilmente gestibili”, riprende Bartolo, ricordando come “spesso ricevo via email la richiesta di interpretare e pronunciarmi su referti di tac, ecografie o di esprimermi su un parere diagnostico o terapeutico di un collega. La realtà è che senza visitare il paziente questo giudizio non si può formulare. Dunque mi limito a dare pareri di massima, stando sempre attento a non sbilanciarmi troppo”.
In ogni caso è innegabile che negli ultimi anni, per colpa o per merito del web, il rapporto tra medico e paziente sia mutato radicalmente. In questo senso Bartolo ammette che “talvolta durante le visite ho la sensazione di sentirmi sotto esame. Specialmente con i pazienti di mezza età, che arrivano documentati all’inverosimile sui loro sintomi; hanno già partecipato a blog e forum, si sono fatti un’idea di quale possa essere la loro patologia e se hanno una diagnosi in mente sono tra i maggiori esperti sulle ultime novità a riguardo”. Una tipologia di “pazienti 2.0”, questa, che il dottor Bartolo conosce bene. “Alcuni si siedono e sviscerano anamnesi, sintomi, diagnosi, prognosi e terapia con le varie controindicazioni. Altri, invece, ammettono candidamente di non accusare alcun sintomo, si sentono benissimo e hanno fatto le analisi soltanto sul prezioso consiglio del vicino di ombrellone”, conclude.