Serve una “wikipedia dell’agenda digitale”, ossia una sorta di contenitore comune che faccia dialogare tutti coloro che hanno interesse a portare avanti la digitalizzazione del Paese: dalla politica, ai centri di ricerca, alle imprese, passando per la pubblica amministrazione.
Insomma, è necessaria una cabina di regia, una governance condivisa per coordinare il lavoro di tutti gli attori coinvolti in questo grande processo di modernizzazione tecnologica, che in Italia stenta purtroppo ancora a decollare, probabilmente anche perché fino a questo momento ognuno è andato per conto proprio.
Il messaggio è stato lanciato oggi dai responsabili scientifici dell’Osservatorio agenda digitale del Politecnico di Milano, Mariano Corso, Alessandro Perego e Andrea Rangone, durante la tavola rotonda “Insieme per una governance informata e partecipata dell’Agenda Digitale”, che si è svolta a Roma e nel corso della quale sono stati presentati i dati della ricerca a cura di Confindustria digitale e del Politecnico di Milano, dove è stato ben illustrato, a suon di dati e cifre, il gap esistente tra il nostro Paese e gli altri stati d’Europa in termini di investimenti nell’Ict.
“Dal 91 al 2007 in Italia abbiamo destinato solo il 17% del Pil a questa voce di spesa, contro il 20-30% del resto d’Europa. Per tradurre le percentuali in numeri secchi, possiamo dire che annualmente investiamo circa 25 miliardi in meno nell’Ict rispetto agli altri”, ha sottolineato Elio Catania, Presidente di Confindustria digitale.
Una colpevole mancanza che, secondo Catania, ha frenato lo sviluppo economico del Paese. “Uno dei motivi fondamentali per i quali negli ultimi 15 anni l’Italia non è cresciuta è che non ha abbracciato le nuove tecnologie. Le nazioni che invece hanno destinato risorse maggiori all’Ict sono cresciute di più. Esiste, infatti, una stretta correlazione tra innovazione digitale, competitività, crescita e occupazione”.
Da sfatare, per il Presidente di Confindustria digitale, anche il luogo comune secondo cui la parola tecnologia farebbe rima con esuberi. “in Europa per ogni posto di lavoro eliminato dal web se ne sono creati altri 2,6. Guardando in casa nostra, In Italia Internet ha dato impulso a 700mila nuove opportunità d’impiego”, ha ricordato Catania.
Ma il divario tecnologico tra il Belpaese e i concorrenti europei è ancora rilevante. “è tempo di voltare pagina”, ha puntualizzato il numero uno di Confindustria digitale, “e di far capire anche alle nostre piccole medie imprese che, se non innovano, muoiono. Basti pensare che l’87% delle aziende fallite lo scorso anno non aveva un proprio sito web”.
Da qui l’urgenza di creare “un punto d’incontro”, dove coloro che si occupano a vario titolo digitalizzazione del Paese possano confrontarsi, per mettere a punto soluzioni che favoriscano concretamente l’innovazione tecnologica, come proposto da Alessandro Perego, responsabile scientifico dell’Osservatorio Agenda digitale.
“C’è un problema di governance. Esistono tanti attori, ma c’è scarso coordinamento tra loro”, ha rilevato Perego.
Suggeriamo quindi che nasca una casa comune per non disperdere le energie di chi vuol dare un contributo allo sviluppo del Paese attraverso la leva digitale, un luogo dove si garantisca la continuità del lavoro, mettendo a fattor comune le good practices”.
Chiaro, tra le righe, anche il riferimento alla politica, che, attraverso i suoi rappresentanti presenti alla tavola rotonda, ha subito raccolto l’invito.
“Proponiamo di istituire una specifica commissione parlamentare dove far confluire le proposte dei vari attori, anche perché il Parlamento gode della più ampia rappresentatività”, ha rilanciato Paolo Coppola, Presidente del Tavolo permanente per l’innovazione e l’Agenda Digitale italiana presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
E di partito dell’innovazione digitale ha parlato provocatoriamente anche Antonio Palmieri, Deputato di Forza Italia, Cofondatore dell’Intergruppo parlamentare per l’Innovazione Digitale. “C’è bisogno di un soggetto che agisca come fonte di stimolo e di pressione sulle istituzioni per accelerare il processo di innovazione digitale. Le leggi ci sono già, ma mancano i decreti attuativi del Governo per rendere operativo quanto deciso”.
E contro le lungaggini governative, che ostacolano lo sviluppo dell’Ict, hanno puntato il dito anche Stefano Quintarelli, Deputato di Scelta Civica, Cofondatore dell’Intergruppo parlamentare per l’Innovazione Digitale, e Roberto Moriondo, Rappresentante delle Regioni presso l’Agid.
“Purtroppo in politica i tempi sono iper dilatati”, ha osservato Quintarelli, “la fase decisionale e quella attuativa sono lentissime. Poi”, ha rimarcato il deputato di scelta civica, “c’è anche da dire che è necessario un cambiamento culturale. Alla metà della popolazione non importa nulla di Internet. Se non si sensibilizzano i cittadini sulla necessità di rimuovere il digital gap, non si va molto lontano”.
L’ultima stoccata contro il governo l’ha lanciata, infine, Moriondo. “In questi anni sul tema dell’agenda digitale c’è stata una certa inerzia da parte dello Stato, a cui in qualche modo hanno supplito le iniziative del territorio. Senz’altro per il futuro la parola d’ordine dovrà essere: co-progettazione”.
Stando ai numeri resi noti dal 2012 a oggi il Governo italiano ha adottato solo 18 dei 53 provvedimenti attuativi, tra regolamenti e regole tecniche, previsti per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda Digitale, e su alcuni di questi si accumulano oltre 600 giorni di ritardo.