Insieme ai referti online e al fascicolo sanitario elettronico, la telemedicina rappresenta una delle più rilevanti innovazioni in ambito sanitario, “ma ogni tanto qualcuno ne parla senza conoscerla, sostenendo che sia addirittura pericolosa senza la presenza diretta del medico. Il vero rischio è dato dalla medicina fatta male, a prescindere dalla parola tele davanti”. Parla così Sergio Pillon, responsabile del servizio di telemedicina dell’azienda ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma, convinto che “le diagnosi (ovviamente presunte) a distanza si possono fare e persino le prime terapie. Ben vengano i servizi di supporto al paziente per via remota, come ad esempio ha fatto il sistema sanitario inglese dall’avvento di internet”.
Questo perché, riprende Pillon, “oggi i pazienti cercano conforto nel cosiddetto dottor Google e credo che i servizi online rappresentino una grande opportunità se ben integrati nei sistemi sanitari”. Opportunità, quelle offerte dal ricorso alle nuove tecnologie, come nel caso di Ebola tracker, l’app per smartphone che fornisce in tempo reale news e dati sul virus. Dalle cartine interattive con le zone di pericolo alla comunicazione diretta con le principali agenzie di stampa, questa applicazione riesce a registrare ogni singolo caso di morte da contagio nel mondo e a lanciare un allarme se la contaminazione è stata certificata in un raggio di cinquanta chilometri. Ma ha davvero senso, davanti a un’epidemia, parlare in termini di sanità elettronica e telemedicina? Risponde Pillon: “Il primo caso di Ebola contagiato sul territorio degli Stati Uniti è stato attribuito ad una falla nel sistema di sanità elettronica dell’ospedale interessato. Nel triage l’infermiera aveva chiesto al paziente – che accusava febbre, cefalea e problemi intestinali – se si fosse recato di recente all’estero e lui aveva confermato la provenienza da una zona a rischio.
Ma nella scheda del medico che lo aveva visitato, per una bug del sistema non è emerso il dato relativo al viaggio del paziente, che è stato rimandato a casa con la diagnosi di influenza”. Un errore che ha esposto il personale dell’ospedale, i parenti e altre persone venute a contatto con il soggetto in questione al rischio di contagio. “Che infatti si è verificato – specifica Pillon – poiché in questo caso il sistema era stato realizzato male e, peggio ancora, non era stato eseguito l’aggiornamento che, considerati i parametri presenti, avrebbe potuto automaticamente segnalare il rischio”. E in che modo l’Italia può affrontare, nell’ambito della telemedicina, il rischio Ebola?
“La telemedicina è una delle barriere che il nostro paese sta attuando per prevenire la diffusione del virus sul territorio nazionale. Da molti anni si parla di telemedicina, e una delle tappe cruciali è stata quella della radiomedicina, ovvero la prima applicazione su larga scala della diagnostica a distanza”, risponde Pillon, specificando che «l’Italia è leader nel settore, e vanta dal 1935 il Centro internazionale radio medico, tuttora in attività, e il maggiore Telemedicine assistance service del mondo». In un caso come quello di Ebola, «tutte le navi mercantili nel mondo (e gli aeroplani), con un marittimo o un passeggero malato si possono mettere in contatto con il Cirm, collegato con la guardia costiera italiana e con gli uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera nazionali.
Presso il Cirm il medico di guardia applica in telemedicina le procedure definite dal ministero della Salute per la valutazione dei casi a rischio e, senza dover fisicamente visitare il paziente, può porre la diagnosi di caso sospetto e attivare le procedure di controllo e contenimento del possibile contagio fin dalla nave o dall’aereo coinvolto, proteggendo anche il personale allo sbarco. Dunque esiste una medicina a distanza?», si interroga, non senza ironia, Pillon.