CONSOLIDAMENTO

Si scalda la partita brasiliana, Oi “apre” al merger con Tim

Il ceo Bayard Gontijo: “Punto a creare valore per gli azionisti, senza pregiudizi su come farlo”. Intanto la controllata di Telecom Italia si dice pronta a raccogliere la sfida del consolidamento. Abreua: “Vogliamo essere protagonisti”

Pubblicato il 13 Nov 2014

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Il Brasile resta al centro del risiko delle tlc. Il pallino per ora sembra essere in mano a Oi che ha ricevuto una terza offerta per i suoi asset in Portogallo ma Tim Brasil, la controllata brasiliana di Telecom non intende restare in ombra.

Oggi Oi ha aperto alla possibilità di una fusione con Tim Brasil. “Il mio obiettivo – ha dichiarato il ceo, Bayard Gontijo – è creare valore per gli azionisti, senza pregiudizio su come realizzare questo”. Il manager ha ricordato che a fine agosto l’azienda ha dato mandato a Btg Pactual di studiare una possibile acquisizione della controllata di Telecom Italia.

Ieri Tim Brasil ha detto di essere pronta “a reagire” ad ogni mossa di consolidamento in Brasile, per bocca del ceo Rodrigo Abreu a Londra per incontrare la comunità finanziaria. La capogruppo invece potrebbe riunire già settimana prossima il suo board per fare il punto sulle opzioni strategiche nel paese, inclusa la possibilità di operazioni straordinarie. L’operatore brasiliano che a sua volta ha Tim nel mirino ha invece ricevuto un’offerta da Apax e Bain del valore di 7,075 miliardi di euro per gli asset in Portogallo. Come la precedente proposta, quella di Altice, anche in questo caso è previsto un earn-out di 400 milioni sulla base di future entrate ulteriori e altri 400 milioni legati alla generazione del margine operativo lordo e non sono inclusi nell’offerta gli investimenti PT Portugal Africa, PT Portugal debt o in Rioforte.

I due fondi di private equity che – secondo il Sole 24 Ore – avevano sondato anche Telecom Italia per valutare la possibilità di un’iniziativa coordinata su Oi, con l’obiettivo di separare poi le attività brasiliane da quelle portoghesi, hanno accelerato sui tempi dopo l’irruzione sulla scena di Isabel dos Santos, la businesswoman più ricca d’Africa, figlia del presidente dell’Angola.

La dos Santos, infatti, all’inizio della settimana ha a sua volta avanzato una proposta da 1,2 miliardi di euro per rilevare la holding Portugal Telecom Sgps che è azionista di Oi, a patto che non siano vendute le attività portoghesi. Oi ha dichiarato irricevibili e inopportune le sue avances, ma la “principessa” – come viene soprannominata – non si è arresa e ha fatto sapere che è disposta a modificare le condizioni della sua offerta, pur di mandarla in porto. E comunque i soci portoghesi conservano ancora – fino quando il titolo non sarà trasferito al segmento Novo Mercado della Borsa di San Paolo – un diritto di veto sulla cessione degli asset, veto che pare siano intenzionati a esercitare se non saranno coinvolti nel recupero delle attività lusitane. Dietro il tentativo si dice ci sia l’ex ceo di PT e poi di Oi, Zeinal Bava, costretto a dimettersi a inizio ottobre per lo scandalo del prestito (non ripagato) a Rioforte.

Nella contesa c’è la variabile Telecom Italia. Secondo fonti raccolte dalle agenzie internazionali, Oi, fatta cassa con Portugal Telecom (ammesso e non concesso che l’operazione fili liscia), si preparerebbe ad avanzare un’offerta per rilevare Tim Brasil, insieme all’America Movil di Carlos Slim (che nel mobile opera con Claro) e a Vivo di Telefonica. Il chief financial officer di Telefonica, Angel Vila, alla conference call per illustrare i dati trimestrali ha evitato di rispondere alle domande degli analisti sulla partecipazione di Vivo all’ipotetica cordata, ma ha fatto presente che Telefonica sosterrà il processo di consolidamento in Brasile e, a certe condizioni, si farà anche parte «attiva». Una dichiarazione sibillina, perchè solo una settimana fa, su richiesta delle autorità di Borsa, Vivo aveva dichiarato di non essere coinvolta in nessuna iniziativa. E d’altra parte, con qualsiasi modalità avvenga, una combinazione tra il quarto operatore mobile (Oi) e il secondo (Tim) supererebbe in alcune aree i limiti imposti dall’antitrust: gli eccessi dovrebbero comunque essere redistribuiti tra i concorrenti. La differenza è che con un’offerta ostile su Tim i costi per aggiudicarsene una parte rischiano di lievitare.

Sul fronte istituzionale, mentre le autorità regolamentari sono contrarie all’ipotesi-spezzatino, non ci sarebbero pregiudiziali politiche a un’aggregazione che veda Telecom in maggioranza col 51%, anche perchè l’idea sarebbe quella di concedere una sorta di golden share privata al maggior azionista pubblico di Oi, il Banco nacional do desenvolvimento (Bndes), con prerogative particolari in tema di governance.

Il problema – spiega il Sole – però è che una parte degli azionisti brasiliani non è disposta a considerare un’offerta di puro scambio azioniario, ma pretende una componente cash. È il motivo per cui i contatti preliminari qualche settimana fa erano finiti in stallo. Se la cessione “concordata” di Portugal Telecom avrebbe l’effetto di abbassare decisamente l’indebitamento di Oi, rimuovendo uno degli ostacoli per la fusione, resta da risolvere il problema di come finanziare un’operazione che, a detta di tutti, avrebbe gran senso industriale e che in prospettiva sarebbe in grado di creare valore.

E oggi arrivano anche i risultati finanziari di Oi. La compagnia, che ha visto nel terzo trimestre una forte contrazione dell’utile netto in scia alla flessione dei ricavi, ha in particolare registrato un utile netto di solo 8 milioni di reais (3,13 milioni di dollari), a fronte dei 172 milioni di un anno fa. Il fatturato consolidato è inoltre diminuito da 9,26 miliardi a 8,84 miliardi, con i ricavi in Brasile scesi del 5,1% a 6,74 miliardi e quelli in Portogallo calati del 4,5% a 1,83 miliardi. L’indebitamento netto è peggiorato dai 46 miliardi di fine giugno a 47,79 miliardi. Lo scorso aprile Oi ha completato un aumento di capitale multimiliardio nel quadro del progetto di fusione con Portugal Telecom Sgps volto a creare un nuovo gruppo transcontinentale per ora denominato CorpCo.

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