Un tema centrale nel dibattito relativo all’impatto dell’Ict sull’occupazione è quello riguardante il cosiddetto processo di polarizzazione. Lo studio di Stefano Scarpetta, Direttore Employment, Labour and Social Affairs Ocse, presentato oggi al convegno “Internet, Jobs & Skills: an opportunity for growth” organizzato da Telecom Italia, fornisce una review delle diverse verifiche empiriche sulla polarizzazione dell’occupazione. Il fenomeno è stato individuato inizialmente negli Stati Uniti dove è emerso che l’occupazione tende ad aumentare sia nei mestieri high-skill sia nei mestieri low-skill, mentre tende a stagnare o anche a declinare nei mestieri a media intensità di specializzazione.
Il fenomeno della polarizzazione dell’occupazione trova conferma, sia pure con minore intensità, anche in Europa.
La letteratura economica ha individuato tre fattori principali esplicativi dei processi di polarizzazione: la “routinizzazione”, l’”offshoring” ed il commercio internazionale.
La “routinizzazione” determina la polarizzazione dell’occupazione in quanto l’Ict sostituisce il lavoro nelle attività di tipo routinario mentre è una tecnologia complementare per i lavori a più alta intensità di skill, difficilmente codificabili. L’effetto della “routinizzazione” è particolarmente intenso nelle fasce di lavoro a media intensità di skill, che tendono dunque ad essere sostituite dall’Ict, e meno nelle fasce di lavoro prettamente manuali.
Il secondo fattore potenzialmente esplicativo della polarizzazione è costituito dall’offshoring. Mentre i servizi impersonali, come gli operatori dei call center, possono essere delocalizzati, non altrettanto è possibile per i servizi di tipo personale, come ad esempio baby sitter e badanti all’estremo inferiore della scala salariale, o i chirurghi all’estremo superiore.
Il terzo fattore esplicativo della polarizzazione dell’occupazione è infine il commercio internazionale. I paesi ad alto reddito tendono infatti a specializzarsi maggiormente nelle attività produttive ad alta intensità di skill, e a ridurre invece la specializzazione produttiva nei settori a bassa intensità di skill. L’espulsione di occupati in questa seconda area di attività andrebbe poi ad alimentare una maggiore occupazione nei settori economici non esposti al commercio internazionale (ad esempio ristoranti, cure domestiche, ..).
Lo studio di Scarpetta analizza quindi un secondo tema centrale nell’odierno dibattito sull’occupazione: l’impatto dello shortage di competenze Ict sull’evoluzione dell’occupazione.
Emerge, inoltre, che lo sviluppo dell’Ict e delle produzioni basate sull’Ict è molto più rapido negli Stati Uniti ed in Giappone rispetto all’Europa. Il ritardo europeo nell’Ict potrebbe dunque avere un rilievo per comprendere le difficoltà del mercato del lavoro in Europa.
In questo quadro, lo studio di Scarpetta analizza le nuove opportunità di business create dall’Ict (e-entrepreneurship) e, in particolare, il fabbisogno di nuovi skills affinché le nuove opportunità produttive possano concretizzarsi. La potenziale carenza di competenze Ict è analizzata nell’ambito dei Paesi Ocse sulla base di dati resi disponibili nel 2014 dal Programme for the International Assessment of Adult Competences (PIIAC) dell’Ocse.