AZIENDE

L’allarme startup, una su tre chiude nel giro di 4 anni

Camera di Commercio: il 31,3% delle attività imprenditoriali cessate nel 2014 era nata dopo il 2009. Più alta la “mortalità” in Lombardia. Peso fiscale, burocrazia e difficoltà di accesso al credito i freni al settore

Pubblicato il 12 Dic 2014

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In Italia una startup su tre cessa le proprie attività dopo meno di quattro anni. E’ quanto emerge da una ricerca condotta dalla Confederazione libere associazioni artigiane italiane (Claai) su dati della Camera di Commercio di Monza e Brianza. Il 31,3% delle attività imprenditoriali cessate in Italia nel 2014, sottolinea la Claai, era nata dopo il 2009. Un fenomeno che riguarda in misura maggiore la Lombardia, dove il 33,7% delle imprese che ha cessato l’attività tra gennaio e settembre di quest’anno era sul mercato da nemmeno 4 anni.

Anche Emilia Romagna e Toscana presentano dati più alti rispetto alla media, rispettivamente il 33,1% e il 32,8%. Il commercio soffre più del manifatturiero: le ‘neo-cessate’ sono il 34,5% contro il 25,4% dell’industria. Guardando alle imprese manifatturiere, la Toscana è la Regione che registra in misura maggiore la cessazione di imprese ‘neo-nate’ (negli ultimi 4 anni 34,6%), mentre in Basilicata e nel Molise le giovani imprese resistono di più (in entrambe le Regioni ha chiuso solo il 16% delle imprese che si sono iscritte dal 2010 in poi). Sul fronte del commercio in Sardegna le imprese nate negli ultimi 4 anni tengono più che in altre zone d’Italia (26,5%). Più faticoso resistere alle difficoltà dei primi anni di attività e alla crisi in Lombardia e in Umbria: le ‘neo-cessate’ (le attività del commercio nate e morte tra 2010 e 2014) rappresentano rispettivamente il 38% e il 38,1% del totale delle chiusure. “Un quadro desolante che dà la misura di quanto sia arduo realizzare velleità di impresa nel nostro Paese”, dichiara il segretario generale della Claai, Marco Accornero. “A gravare maggiormente sulle startup è il peso fiscale insopportabile, unito soprattutto agli adempimenti burocratici che impegnano risorse ingenti dell’impresa e l’attenzione dell’imprenditore che invece sarebbero andate ad esclusivo interesse dell’attività”, prosegue.” Le difficoltà di accesso al credito, poi, bloccano sul nascere lo sviluppo e gli investimenti, asfissiando di fatto le aziende giovani, ancora poco consolidate”, aggiunge Accornero. “La repentina cessazione di ditte appena costituite rappresenta inoltre il rovescio della medaglia di coloro che si ‘inventano’ imprenditori più per necessità che per vocazione: è il risvolto della drammatica crisi occupazionale che porta chi non trova lavoro o chi l’ha perso a tentare la via dell’attività in proprio, senza valide idee sostenibili e senza un’adeguata preparazione di base”, conclude il segretario generale della Claai.

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