Ciniero: “La mia smart philosophy”

Il numero uno di Ibm Italia: “L’uso intelligente delle tecnologie trasformerà il mondo”

Pubblicato il 22 Mar 2010

Per decenni, Ibm è stata sinonimo di computer, informatica e
tecnologia, quasi come se non esistessero concorrenti. Una
situazione che poi si è evoluta, con la crescita e la
diversificazione del mondo dell’IT e che, di fatto, ha portato
l’azienda a trasformare il proprio business con una preponderante
rilevanza delle aree software e servizi, marcando ulteriormente
l’accento sulla parte della ricerca. Nicola Ciniero, da quasi tre
mesi, rappresenta tout court Ibm in Italia, avendo assommato al
ruolo di AD anche quello di presidente. E considerati i rapporti,
quasi naturali, che Ibm ha sia con il mondo delle imprese, sia con
quello della pubblica amministrazione, il suo ufficio di Segrate
rappresenta un osservatorio privilegiato per capire cosa si sta
muovendo in Italia e non solo: un mondo in cui Ciniero vede “una
grossa spinta al cambiamento”, sia per il mondo delle imprese sia
per quello della pubblica amministrazione.
Ciniero, come vanno le cose in Italia? Il nostro Paese, a
livello di PA e tecnologia, si sta muovendo? E se si muove, in che
direzione lo fa?

È un mondo assolutamente in movimento: basti pensare a
realizzazioni che, anche solo fino ad un paio di anni fa, tutti
pensavano fossero impossibili, come ad esempio la firma digitale.
La PA si è ammodernata molto, molto velocemente, con l’obiettivo
di favorire l’integrazione tra le infrastrutture digitali del
Paese e dare cosÌ il via a nuovi progetti e servizi a favore dei
cittadini e delle imprese. Potrebbe essere il clima di devolution
che stiamo vivendo, ma io vedo davvero una grossa spinta in favore
della modernizzazione dell’Italia.
In cosa si traduce questa spinta?
In molteplici iniziative: sanità, dematerializzazione, sistemi di
grid e cloud computing. Posso rispondere con un esempio, guardando
ai progetti che noi stessi abbiamo realizzato assieme ad
amministrazioni pubbliche locali come quelle di Parma, Venezia,
Bolzano. In Alto Adige, fra le altre cose, abbiamo ideato il
progetto di telemedicina Abitare Sicuri, per favorire
l’assistenza delle categorie più deboli. Un sistema di
monitoraggio a distanza interagisce direttamente con il paziente,
senza obbligarlo a recarsi in una struttura ospedaliera. A Parma,
invece, la PA si è mossa per rendere disponibili nuove prestazioni
specificamente dedicate all’infomobilità, alla sicurezza e alla
fruizione delle ricchezze artistiche e culturali. A Venezia,
invece, grazie anche alla nuova rete wi-fi realizzata dal Comune,
che copre l’intero territorio cittadino, Ibm ha testato un
progetto in ambito turistico che consente a quanti in possesso di
un cellulare abilitato la possibilità di scaricare
un’applicazione in grado di interagire con sensori passivi,
posizionati dall’Associazione della Guide Turistiche di Venezia
in determinati punti della città. Semplicemente scattando una
fotografia dell’edificio o del monumento con il proprio
telefonino, i visitatori attivano il sistema ricevendo subito le
notizie necessarie a scoprirne le caratteristiche. Tutto questo è
parte di quella filosofia che noi chiamiamo ‘smarter
planet’.
In cosa consiste?
Alla base c’è un concetto molto pragmatico: in tutto il mondo
c’è un’enorme quantità di tecnologia già installata, fra
città e aziende, che non viene sfruttata in tutta la sua
potenzialità proprio perché non sempre interconnessa. Pensiamo ai
computer installati nelle automobili, ai cellulari, ai sistemi di
controllo di semafori, ferrovie, telecamere; ecco, lo smarter
planet in cui credo consiste nel collegare questa tecnologia già a
nostra disposizione secondo un disegno intelligente. Si tratta
quindi di un “riutilizzo” degli investimenti che individui,
aziende e governi hanno già fatto, in grado però di erogare nuovi
servizi al cittadino – si pensi al monitoraggio del traffico, alla
sicurezza, all’accessibilità – e, cosa altrettanto importante,
di contribuire a una maggiore sostenibilità ambientale grazie a un
miglior utilizzo delle risorse fisiche. In Europa abbiamo iniziato
con Stoccolma, mettendo in piedi un sistema avanzato – è noto come
Road Charging – che rileva i flussi in entrata e in uscita dal
centro città addebitando automaticamente il pedaggio agli
automobilisti. Questo, in sintesi, ha razionalizzato il traffico,
ora molto snello, con più trasporto pubblico e meno inquinamento.
I dati testimoniano un abbattimento percentaule della Co2 e delle
polveri sottili a doppia cifra, il che significa una migliore
qualità sotto tutti i punti di vista.
E questa integrazione di tecnologie come impatta invece sul
mondo delle imprese? Non lavorerete solo a questo?

No, certo. Restando al tema dell’integrazione di tecnologia, ciò
significa anche sfruttare la enorme capacità di calcolo di cui si
dispone ma che non sfruttiamo appieno. Un esempio pratico: gli
8.000 dipendenti di Ibm sono dotati di pc portatili utilizzati al
20-30% della loro capacità. Bene: grazie a un programma specifico,
il loro inutilizzo può essere dirottato a favore di quelle
iniziative di ricerca, per esempio a carattere medico-scientifico,
che abbisognano di picchi di potenza altrimenti difficili da avere.
Spostandoci invece sui trend di sviluppo tecnologico, allora posso
dire che il Cloud Computing è uno dei più promettenti. Accedere
ai servizi di IT ‘a domanda’, senza la necessità di investire
internamente in nuova tecnologia, costituisce una bella comodità
in tutti i sensi. E qui percepisco un crescente interesse da parte
delle aziende italiane e degli imprenditori che hanno bisogno di
efficienza per mantenersi competitivi.
Quindi da parte vostra vedete un’apertura delle imprese a
questi nuovi trend? Non c’è, in Italia, ancora un certo stop
culturale?

Bisogna fare una premessa, perché la situazione non è univoca. Ad
esempio, il tasso di crescita di penetrazione di internet ci sta
piano piano avvicinando alla media europea: se prendiamo come
esempio le regioni del nord Italia siamo più avanti di tutti,
mentre altre parti del Paese scontano un po’ di arretratezza
culturale. Detto questo, non mi pare che i nostri imprenditori
siano restii a recepire i nuovi stimoli, anche perché ormai si
vive in un ecosistema allargato in cui non domina più una
leadership strutturata. Chi è a capo di un’azienda è
senz’altro più pronto a recepire i suggerimenti dei
collaboratori e dei dipendenti.
Rimane aperto il capitolo infrastrutture: gli 800 milioni
di euro per la banda larga sono rimasti congelati, la Ngn in Italia
è ancora sulla carta, ma fino ad oggi non sembra che la questione
causi grandi preoccupazioni, soprattutto fra i
cittadini.

Il nostro Paese ha in effetti un ritardo sulle reti ad alta
velocità, ma questa tipologia di network, soprattutto in questo
momento, andrebbe a soddisfare in particolare le esigenze delle
imprese più che dei cittadini. Negli ambienti molto caratterizzati
dalla tecnologia, la tematica della banda larga è vissuta come un
nervo scoperto. Il Governo-Stato ha dovuto fare i conti con una
situazione economica difficile, ed è per questa ragione che certe
promesse non si sono ancora concretizzate. Ma è una situazione
destinata a risolversi. Io sono fiducioso.

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