Uber promette all’Europa 50mila posti di lavoro. Fortemente contrastata in vari Paesi europei, la società nata a San Francisco, fornitrice di un servizio di noleggio conducente auto da smartphone, sembra voler lanciare un segnale di distensione alla Ue. “Con la nostra attività creeremo 50mila nuovi posti” ha detto l’amministratore delegato di Uber, Travis Kalanick, parlando alla conferenza Digital Life Design a Monaco di Baviera.
L’agguerrito Ceo a capo di una company che ha raccolto finora dagli investitori ben 2,6 miliardi di dollari, arrivando a inizio dicembre alla capitalizzazione “implicita” (quella calcolata sulla base del prezzo delle ultime azioni vendute) di 41,2 miliardi di dollari, ha spiegato che intende ”stabilire una nuova partnership” con le città europee, portando sulle loro strade 400mila auto. Toni concilianti, dunque, ma fino a un certo punto. A proposito dei problemi che sta incontrando Uber nell’Unione europea, il Ceo, noto per il suo spirito battagliero e la mancanza di diplomazia, ha criticato le regole, che, a suo dire, ”esistono solo perché l’industria dei taxi sta cercando di proteggere se stessa”.
In ogni caso quella del Ceo di Uber è una dichiarazione importante a pochi giorni dall’incontro previsto il 22 gennaio a Bruxelles tra i rappresentanti della società californiana e i commissari Ue ai trasporti Violeta Bulc e al mercato unico Andrus Ansip.
Obiettivo di Uber è crescere nelle grandi città europee, da Milano a Madrid, ma per farlo servono regole che consentano alla compagnia di operare. ”Se troveremo un quadro normativo che lo renda possibile, promettiamo lavoro e meno congestioni stradali”.
Proprio dalla Germania, da dove Kalanick ha parlato, sono arrivati alcuni degli attacchi più feroci al servizio fornito dalla società statunitense. A inizio settembre il tribunale amministrativo di Francoforte ha vietato l’utilizzo della app in tutto il Paese, per poi ripristinare lo status quo qualche settimana dopo, annullando la sentenza. Ma anche in altri Paesi europei ci sono state manifestazione di protesta, Italia compresa, dove nel 2014 il caso Uber ha significato forti proteste dei tassisti e ha finito per coinvolgere la politica, che ha promesso nuove regole per il settore.
Ma ci sono molte altre sfide da combattere per Uber. La company, come rilevava in un’intervista a CorCom Umberto Bertelè, ordinario di Strategia e Sistemi di pianificazione al Politecnico di Milano e presidente onorario del Mip, ha a che fare con un mercato globale o multilocale, con diverse regole e diverse capacità di aggregazione sindacale dei tassisti suoi acerrimi nemici. Bertelè si chiedeva inoltre se l’espansione in nuove città non si scontrerà con la presenza di incumbent (molto forte ad esempio in Cina e in altre città asiatiche) che hanno preceduto Uber copiandone il modello. E si domandava se l’impressionante velocità di espansione, che tanto fascino esercita nell’attrarre i finanziatori, non comporti rischi dal punto di vista della qualità e della sicurezza dei servizi, come accaduto in India dove Uber è stata bandita dopo che un autista di UberPop aveva abusato sessualmente di una turista.