Il modello di equivalence of output adottato da Agcom è stato il primo tentativo riuscito di trovare una via alternativa e concreta alla separazione funzionale.
Oggi il nostro rappresenta un modello di riferimento per tutte le Autorità di regolazione europee: il Berec ha riconosciuto l’equivalence of output come best practice e la Francia ha seguito il nostro esempio, per i servizi di unbundling e bitstream. Anche la Raccomandazione sulla non discriminazione del settembre 2013 ha incoronato l’equivalence of output come migliore alternativa alla più radicale equivalence of input.
A sei anni dalla sua implementazione, possiamo dirlo: il nostro modello di equivalence rappresenta un caso di successo. Nonostante abbia dimostrato grandi limiti, come sappiamo. Nonostante sia sempre stato considerato una seconda scelta, rispetto all’equivalence of input.
L’esperienza inglese insegna che anche i modelli perfetti sulla carta possono rivelarsi inadeguati nella realtà. Costi eccessivi e bassi standard qualitativi sono il prezzo da pagare per l’equivalence of input. Possiamo permettercelo?
La risposta ce la dà la Commissione Europea, che, pur raccomandando l’adozione del modello di equivalence of input, ne subordina l’applicazione ad un test di proporzionalità. In altri termini: l’EoI è il modello migliore, ma non è detto che sia la soluzione ottimale.
Non c’è bianco o nero: serve un’analisi costi-benefici, per valutare l’efficacia del modello di equivalence in relazione alle caratteristiche del mercato. Se l’EoI non è proporzionato, allora l’EoO è la migliore alternativa: lo dice la Commissione.
Lo conferma il Berec, secondo cui, anche con un modello di equivalence of output l’Autorità di regolazione può rimuovere gli obblighi di orientamento al costo in capo all’incumbent. Riconoscendo, dunque, che il nostro modello può essere tanto efficace quanto l’equivalence of input.
L’equivalence of output, da seconda scelta, diventa second best.
Ma questo modello è valido anche per le reti di nuova generazione?
A partire dal 2012, con la delibera 1/12/CONS, Agcom ha imposto obblighi di non discriminazione anche sui servizi wholesale Nga. Di fatto, il regime di equivalence of output è già stato applicato anche ai servizi su rete in fibra.
Per il prossimo periodo regolamentare, dobbiamo valutare la proporzionalità dell’EoI, come ci chiede la Commissione.
Per i servizi in rame, è prevedibile che costi di adattamento e tempi di implementazione dell’EoI risultino di gran lunga superiori ai benefici. British Telecom ha speso due miliardi di sterline per la sola separazione dei sistemi informativi e dopo nove anni, non è ancora stata raggiunta la piena non discriminazione. Numeri incompatibili con l’obiettivo di garantire fin da subito la parità di accesso a servizi wholesale di alta qualità!
Per i servizi Nga, sono convinto che lo sviluppo di una concorrenza infras infrastrutturata sia il migliore disincentivo ad attuare comportamenti discriminatori. La concorrenza di reti alternative, sia sul mercato retail che sul mercato wholesale, riduce l’incentivo e la possibilità di fornire i servizi wholesale a condizioni discriminatorie. Soprattutto finché il take-up della banda ultralarga resta basso, l’incumbent ha un incentivo a fornire i servizi NGA wholesale a condizioni eque, per riempire la propria rete e massimizzare il ritorno del suo investimento.
Quindi, a mio avviso, in un mercato dinamico, come quello dei servizi ultrabroadband, l’imposizione di un remedy strutturale e radicale, come l’equivalence of input, potrebbe risultare non proporzionato.
Questo non implica, però, l’estensione automatica dell’attuale regime di equivalence ai nuovi servizi: piuttosto, l’attuale modello deve essere adattato e innovato per superare i limiti emersi finora.
In particolare, due sono le criticità su cui è necessario focalizzare la nostra attenzione: il rischio di comportamenti discriminatori nell’attivazione e manutenzione delle linee e la bassa qualità dei servizi wholesale.
Nel 2013, l’Agcm ha condannato l’incumbent per pratiche anticompetitive messe in atto tra il 2008 e il 2010. Il procedimento A428 ha messo in evidenza che un regime di equivalence of access non elimina completamente il rischio di pratiche anticompetitive. Ciò nonostante, la stessa AGCM ha concordato con Agcom: i comportamenti discriminatori accertati in passato non sono certamente dovuti né riconducibili al modello di equivalence of output. Rientrano, piuttosto, nella discrezionalità dell’incumbent: l’esistenza di processi wholesale differenti non implica di per sé un abuso di posizione dominante.
Diventa necessario, allora, potenziare il modello di equivalence of output per ridurre gli ambiti di discrezionalità, attraverso vincoli più stringenti e un controllo più efficace. Anche tenendo conto dell’impatto che i comportamenti discriminatori hanno sul mercato, in termini di redditività degli investimenti e customer satisfaction degli utenti finali.
Per questo, parità di accesso e qualità dei servizi devono essere considerati e affrontati in maniera integrata.
Negli ultimi mesi, l’attività di vigilanza dell’Autorità si è focalizzata sulla qualità dei processi wholesale: da qui è scaturita la diffida del luglio scorso, per porre fine ai disservizi nell’attivazione e manutenzione delle linee. È in questa sede che l’Autorità ha introdotto un sistema di reporting settimanale per un monitoraggio costante della qualità dei servizi.
Dobbiamo essere realisti e badare alla sostanza. Per sostenere lo sviluppo delle reti NGA, non basta che i servizi wholesale siano forniti a condizioni equivalenti. È fondamentale, piuttosto, che le condizioni di fornitura rispecchino uno standard qualitativo adeguato a soddisfare le aspettative del mercato.
Tempi di attivazione e di manutenzione devono essere certi ed efficaci, in modo da minimizzare i disservizi per il cliente finale e non vanificare gli investimenti nelle reti di nuova generazione. Non ha senso incentivare la migrazione verso la fibra, se poi l’utente deve aspettare settimane prima di essere attivato. Nessun consumatore è disposto a pagare un premium price per prestazioni di bassa qualità!
Da qui, dobbiamo partire per aggiornare e rafforzare il modello di equivalence. La non discriminazione, di per sé, non è un obiettivo bensì un mezzo fondamentale per garantire una corretta dinamica competitiva e uno sviluppo efficiente del mercato.
Per questo, per il prossimo periodo regolamentare ritengo necessaria una revisione dell’attuale regime di equivalence of output, che tenga contodelle criticità emerse finora e delle dinamiche del mercato. Quattro le aree su cui intervenire:
· Key performance indicators aggiornati, per rendere più efficace e trasparente il monitoraggio della parità di accesso, e key performance objectives, per introdurre uno standard minimo di qualità;
· Equivalence of access alle informazioni, per garantire la parità di accesso non solo ai servizi wholesale, ma anche ai database e alle informazioni che l’incumbent deve mettere a disposizione degli OLO;
· Un Organo di Vigilanza più autonomo ed efficace, a supporto dell’Autorità nella vigilanza e nell’enforcement degli obblighi di non discriminazione;
· Un sistema di SLA e penali più efficace, secondo le indicazioni della Raccomandazione, da aggiornare periodicamente e differenziare tra i servizi, per meglio rispondere alle esigenze del mercato. Penso, per esempio, a SLA e penali più stringenti per i servizi NGA e destinati a clientela business.
Non serve inventarsi nuovi modelli. Dobbiamo partire dall’esperienza, per dare risposte concrete ai problemi reali: attraverso un intervento mirato e puntuale, che rafforzi le garanzie di non discriminazione, senza imporre onerose modifiche strutturali. Non serve una rivoluzione, ma un’evoluzione del modello di equivalence: per adattarlo alle nuove esigenze del mercato e per risolvere in modo tempestivo le criticità riscontrate.