Nazareno, appellativo che nel vangelo gnostico di Filippo significa “quello della verità”. Perciò tutto si ci si poteva aspettare tranne che, duemila anni dopo, la sorte riservasse a quel nome di indicare un accordo politico oggetto di tante discussioni e di poche verità. Cosa effettivamente riguarda il patto del Nazareno é una domanda che molti si sono posti negli ultimi tempi.
Ad esempio, c’entra la televisione e il settore delle telecomunicazioni? Qualche dubbio é sorto non solo perché la Gasparri é improvvisamente diventata la migliore legge del mondo agli occhi dei suoi precedenti detrattori del PD, ma anche per le polemiche che stanno investendo la questione dello sviluppo della rete di nuova generazione. Alcuni giornali hanno dato infatti la notizia di un dissidio tra chi nel governo vorrebbe una rete pubblica con al centro Metroweb e chi invece vorrebbe consentire a Telecom di chiudere un accordo con la stessa Metroweb per controllare la nuova infrastruttura. Dietro questa impostazione ci sarebbero vecchi e nuovi soci di Telecom ed in prospettiva, attraverso Vincent Bolloré, lo stesso Berlusconi. Eccesso di dietrologia? Forse si, ma un fatto è certo, come ho già avuto modo di scrivere, intorno a Metroweb si stanno muovendo desideri non sempre chiari, qualche caso di conflitto di interesse e soprattutto molti soldi provenienti dai fondi europei.
Una newco pubblica secondo alcuni eviterebbe invece al sistema delle comunicazioni di ripetere le storture del passato, assicurando, in un momento di tensioni internazionali, anche la necessaria sicurezza dell’uso di un’infrastruttura sempre più strategica. Tutte cose interessanti, ma che non toccano il punto centrale della questione. Come sviluppare rapidamente in Italia una rete in fibra capace di assicurare le performance di banda che l’Agenda digitale europea ha indicato.
Forse, il principale ragionamento in merito dovrebbe partire dalla valutazione del modello proprietario in grado di offrire le migliori opportunità di sfruttamento delle risorse disponibili, comprese quelle derivanti da eventuali investitori istituzionali (es. Cassa Depositi e Prestiti, fondi), e le migliori condizioni per una rapida realizzazione dell’infrastruttura. Inoltre, non si può prendere atto della crisi scegliendo un modello proprietario fortemente riduttivo degli spazi concorrenziali.
Sarebbe un tragico errore, al pari di quello di considerare una scelta obbligata restituire, attraverso questa operazione, redditività alle esauste casse di Telecom. Da anni il problema é sempre lo stesso. Quando si agitano forze che sono lontane dal settore chi ne paga le spese sono gli operatori e i consumatori. Esiste invece un interesse pubblico primario che é quello di recuperare rapidamente il nostro “ritardo digitale” e di realizzare una rete moderna e aperta. Fino ad ora molte promesse e dichiarazioni di intenti, ma al dunque le solite schermaglie. Eppure basterebbe guardare un po’ più in là per vedere come in un paese civile si discute e poi si decide nell’interesse generale (ad esempio, nel Congresso americano i repubblicani prima contrari alla net neutrality si sono schierati a favore di quest’ultima dopo un ampia e pubblica discussione).