In Olanda e Slovenia scattano le prime sanzioni contro le telco per violazione della net neutrality. Mentre a Bruxelles continuano le delicate trattative sull’introduzione di regole comuni sull’Open Internet, negli unici due paesi del blocco comunitario che si sono dotati di una propria normativa sulla materia si è già passati alle vie di fatto. Ieri l’Autorità per le comunicazioni olandese ha multato KPN e Vodafone rispettivamente per 250mila e 200mila euro. KPN è finita nel mirino del regolatore per aver bloccato l’accesso ad alcuni servizi, in particolare VoIP, sui suoi hotspot wi-fi. A Vodafone viene contestato di aver offerto l’utilizzo gratuito di un’applicazione di streaming video operata dal broadcaster americano HBO senza conteggiarla nel traffico dati fatturato agli utenti: una pratica nota come “zero rating” o “positive price discrimination”. Si tratta dello stesso capo d’imputazione formulato venerdì scorso dal regolatore sloveno nei confronti di Telekom Slovenije e Si.mobil, i due principali operatori del paese.
L’Olanda è stato il primo paese europeo ad aver inscritto nel 2012 misure a tutela della neutralità della rete nella propria legislazione sulle telecomunicazioni. Lubiana le ha fatto seguito a gennaio 2013. Analoghe normative sono allo studio dei decisori politici in Belgio e Lussemburgo, mentre i recenti sviluppi negli Usa hanno riacceso il dibattito pubblico in un numero consistente di paesi comunitari. All’origine della proposta legislativa al momento in discussione a Bruxelles c’è non a caso il timore che gli Stati membri procedano sempre di più in ordine sparso sulla materia.
Le norme sulla neutralità delle rete sono state sin qui oggetto di serrate negoziazioni in sede di Consiglio Ue. Dopo i ripetuti tentativi di mediazione falliti nel corso del semestre italiano, la nuova Presidenza lettone dell’Ue sembra in ottima posizione per chiudere un accordo entro la fine di febbraio. Il compromesso presentato la scorsa settimana da Riga recupera in larga parte l’impianto di una precedente proposta italiana che favorisce l’introduzione di “principi generali” in luogo di regole circostanziate demandando alle autorità politiche e regolamentari nazionali la definizione dei dettagli applicativi. Il testo proibisce in maniera esplicita ogni forma di discriminazione sul traffico, ma al contempo apre ai cosiddetti servizi specializzati. Il Parlamento europeo ad aprile scorso ha votato una versione più restrittiva delle stesse regole, il che lascia immaginare che i successivi negoziati con il Consiglio per l’adozione finale saranno battagliati.
Un esplicito divieto dello “zero rating” è per sua parte stato escluso dal compromesso lettone perché, come si legge nel preambolo del testo stesso, “non ha guadagnato il necessario sostegno tra gli stati membri”. Attraverso questa pratica commerciale in via di diffusione in Europa gli operatori offrono l’utilizzo gratuito (e quindi illimitato) di applicazioni e servizi propri – o di content provider con i quali hanno stretto accordi commerciali – senza conteggiarlo nei piani dati dei propri clienti. Nello sguardo degli attivisti si tratta di una palese violazione al principio della neutralità della rete poiché creerebbe condizioni di accesso privilegiato verso alcuni servizi. Ma sul tema le sensibilità e le interpretazioni sono tante e diverse.
Come spiegava già ad ottobre scorso l’ex portavoce della Commissione europea Ryan Heath, “se nessun servizio concorrente è bloccato o degradato, e qualora vi sia trasparenza nell’offerta, allora si tratta semplicemente di una forma di promozione commerciale non differente da molte altre”. Mettere fuori legge in tutta Europa lo “zero rating”, hanno scritto ieri Gsma, Cable Europe ed Etno in una lettera aperta, “priverebbe i consumatori di servizi attraenti che sono peraltro già in uso e opererebbe come un deterrente per l’innovazione di servizi e modelli di business innovativi”.