Un Paese cieco e sordo, che non vede e ascolta ciò che sta accadendo dentro e fuori i confini. Un Paese che appare refrattario all’innovazione digitale, perché altrimenti avrebbe aperto corsie preferenziali per la sua attuazione. Un Paese in cui “non è raggiungibile l’obiettivo dell’Agenda Digitale Europea di avere entro il 2015 il 75% dei cittadini utenti regolari di Internet” (Strategia italiana per la banda ultralarga – Presidenza del Consiglio dei Ministri). Dal sistema Paese al sistema Azienda, purtroppo, la musica non cambia. “Nel 2014 il rapporto tra budget Ict e fatturato delle nostre grandi imprese – dichiara Alessandra Luksch, responsabile della Ricerca sui trend di investimento Ict svolta dalla Digital Innovation Academy della School of Management del Politecnico di Milano – è sceso al 2,1%, in flessione rispetto al 2,5% dell’anno prima”. Se paragonato con la media estera, il budget in Ict delle aziende nazionali è ancora più preoccupante per l’anno appena iniziato. I Cio italiani prevedono un ulteriore calo dell’1,47%, mentre Gartner parla di un incremento del 3,5% a livello internazionale.
L’Italia nuota controcorrente, ma non ha l’abilità dei salmoni. Quanto tempo impiegheranno le nostre aziende a coprire il divario competitivo con le imprese estere? Quale ritardo in termini di alfabetizzazione digitale stiamo accumulando, se in Italia esiste mediamente un PC ogni 12 studenti, mentre la media europea è di 4? La spinta dal basso fino alla dirigenza aziendale non basta. Sono i vertici a non comprendere che le tecnologie aiutano a “fare i bilanci”, se solo si investisse di più e meglio. “La situazione – continua Alessandra Luksch – cambia tra un settore e un altro. I budget 2015 sono sostanzialmente stabili nel Finance e nel Media-Telco, in contrazione nella PA-Sanità (-2,2%) e ancor di più nei Servizi (-2,9%) e nelle Utility & Energy (-4,4%). La crescita (+3,2%) nel settore industria è, in realtà, solo apparente, perché i valori assoluti confinano il settore agli ultimi posti della classifica sia nazionale che, ovviamente, internazionale”. “Stupisce, bisogna dirlo, l’opinione di circa il 30% dei Cio intervistati (la Ricerca ha coinvolto un panel di 200 Cio di medio-grandi e grandi aziende), che ritiene adeguato il budget Ict rispetto alle richieste delle linee di business. Chi dovrebbe stimolare o, comunque, essere tra i promotori dell’innovazione – continua Alessandra Luksch – manifesta comportamenti di appiattimento e rassegnazione, che lasciano anche spazio a valutazioni sull’effettiva capacità di cogliere l’urgenza e le opportunità derivanti dall’innovazione tecnologica”. Sembra che in Italia l’unica via per innovare sia quella giuridica.
Se ci sono le norme si procede – magari con lentezza – altrimenti tutto è demandato a iniziative dei singoli che, si spera, possano fare scuola. Il “sistema” non funziona, non riesce a operare come tale. La crescita dei budget rivolti all’outsourcing, comprendendo anche le soluzioni Cloud e as-a-service, testimoniano la ricerca di investimenti in grado di dare ritorni veloci e immediatamente evidenti al business. Le principali aree di investimento non rivelano particolari variazioni rispetto all’anno precedente. La vera novità è la Dematerializzazione, che si inserisce tra gli investimenti tecnologici prioritari, a ulteriore riprova che il nostro è un Paese in cui l’innovazione è law-driven. Dove si indirizzeranno, quindi, i budget dell’Ict? Il 55% delle aziende, con la punta del 69% nel settore Utility & Energy, si orienterà su Big Data e Analytics, a seguire proprio la Dematerializzazione dei documenti e la digitalizzazione dei processi lavorativi (53%), i sistemi gestionali Erp (48%), più ricchi di funzionalità social e permeabili agli accessi mobile e, infine, i device mobili e le relative App per il business (38%). “La strada su cui procedere per attivare realmente l’utilizzo del digitale nelle aziende – conclude Alessandra Luksch – non è di facile individuazione. Il vero problema non è tanto la mancanza di denaro, per altro non trascurabile, ma la cultura e un orizzonte temporale che, spesso, punta sul breve periodo e poco al medio-lungo. Non tutte le aziende sono consapevoli di dover cambiare pelle e, insieme, il modello organizzativo e quello delle competenze interne. Le direzioni Ict sapranno proporsi come baricentro del percorso innovativo aziendale, in collaborazione con il business? È sicuramente questa la grande sfida che li riguarda per il 2015”.