Il presidente della Federal Communications Commission americana Tom Wheeler ha proposto ieri alla commissione nuove regole per Internet che avvicineranno la gestione del web a quella in vigore per le utility o i pubblici servizi, riclassificando i fornitori della banda larga come “servizi di telecomunicazione”, in base al Title II del Communications Act.
Il Title II dà alla Fcc l’autorità per regolare più pesantemente il web ed ergersi a garanzia che gli Isp non interferiscano con il traffico web degli utenti, bloccando o rallentando alcuni contenuti. Per la prima volta, inoltre, queste regole riguarderanno non solo la banda larga fissa, ma anche i servizi mobili, quindi non solo le società del cavo e i provider delle connessioni fisse a Internet, ma anche gli operatori della telefonia mobile.
All’indomani della proposta di Wheeler la levata di scudi delle telco era inevitabile anche se l’implicito attacco all’Europa era meno prevedibile. Secondo i fornitori della banda larga americani, infatti, la regolazione più pesante che la Fcc vuole imporre è un’imitazione di deleterie politiche adottate nel nostro continente, come quelle che costringono le aziende a condividere le loro infrastrutture. Queste politiche, che in Europa vengono considerate atte a servire l’interesse pubblico, per gli americani sono un freno agli investimenti nella banda larga e rappresentano una indebita interferenza del regolatore.
I provider americani temono che, una volta riclassificato il broadband sotto il Title II, la Fcc potrà più facilmente intervenire sui prezzi o costringere gli incumbent a dare accesso ai concorrenti alle loro reti, come spiega Michael Powell, presidente dell’Ncta, gruppo di lobby delle aziende del cavo.
Rick Boucher, ex parlamentare americano che oggi rappresenta le aziende della banda larga presso uno studio legale e tramite la Internet Innovation Alliance, altro gruppo di lobby, sottolinea che il più grande timore dei provider americani è proprio di essere costretti ad affittare le loro reti, con l’ULL (unbundling del local loop o accesso disaggregato alla rete locale ovvero l’accesso all’ultimo miglio), come accaduto in Europa. “La riclassificzione del broadband crea grandi incertezze”, dice Boucher. Con l’unbundling, infatti, secondo Boucher, “in teoria si crea concorrenza tra più fornitori, ma in pratica quello che il consumatore ottiene sono connessioni lente (servizio Dsl) da tutti”, anziché connessioni veloci e migliori da meno provider. “Un tipo di concorrenza senza senso”, conclude Boucher.
Verizon aveva già fatto sapere alla Fcc che la riclassificazione della banda larga sotto il Title II rende l’unbundling negli Usa quasi inevitabile e questo congelerebbe gli investimenti nella banda larga e produrrebbe conseguenze disastrose per i consumatori.
Non tutti i commentatori americani sono però dalla parte delle telco. Secondo alcuni la Fcc dovrebbe affrontare proprio il tema dell’unbundling, perché gli americani hanno un servizio di banda larga di scarsa qualità rispetto ad altri paesi avanzati (meno velocità, prezzi più cari) proprio per la mancanza di concorrenza (il mercato è dominato da Comcast e TimeWarner che ora vogliono anche fondersi). La scarsa concorrenza si deve al fatto che chiunque voglia competere come fornitore di banda larga negli Usa deve costruirsi la sua rete, operazione lunga e soprattutto costosa. La Fcc dovrebbe dunque rendere obbligatoria l’apertura dell’ultimo miglio, costringendo i provider esistenti a dare in affitto la loro infrastruttura ai concorrenti e così veramente migliorando il servizio sul mercato. Anche il Financial Times sottolinea oggi che l’Europa non se la passa poi così male: 12 paesi europei hanno più abbonati alla banda larga degli Usa (in rapporto alla popolazione) e in 18 paesi i prezzi sono inferiori, grazie ad unbundling e concorrenza.