IL CASO

Net neutrality, si scatena la battaglia sui poteri della Fcc

La proposta Obama di normare la Rete come una utility darebbe all’Autorità poteri di intervento mai avuti prima. Ecco perché la contro-proposta repubblicana inizia ad essere guardata con interesse anche fuori dalla cerchia conservatrice

Pubblicato il 12 Feb 2015

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Nello scontro ormai eminentemente politico in atto negli Stati Uniti su come dovrà evolvere la Rete nel 21imo secolo sta cominciando ad emergere un secondo tema, solo apparentemente meno importante di quello principale della net-neutrality. E’ la battaglia scatenatasi sulla Federal Communication Commission (FCC), l’agenzia federale istituita con il Communication Act del 1934 al fine di regolamentare il settore delle comunicazioni sul territorio degli Stati Uniti. È una battaglia che ha toccato il culmine nella recente proposta legislativa repubblicana per la quale in materia di banda larga l’agenzia federale andrebbe relegata ad una mera attività di controllo di quanto sancito per legge dal Congresso, senza cioè poteri d’indirizzo autonomo del settore.

Il motivo di questo dibattito, ormai accesso quanto quello sulla net-neutrality, è che se verrà approvata la proposta, avanzata dalla stessa FCC, di riclassificare il broadband sotto il Titolo II del Communication Act del 1934 – facendone un servizio di pubblica utilità – l’agenzia acquisirà un potere di intervento sulla Rete che non ha precedenti.

Quando infatti nel 1996, il Congresso approvò in modo bipartisan e con l’accordo dell’Amministrazione Clinton il Telecommunication Act – che emendava il Communication Act inserendo Internet nella normativa per la disciplina delle comunicazioni – i poteri di regolamentazione della banda larga attribuiti alla FCC erano alquanto limitati. Negli anni seguenti, la stessa FCC ha inizialmente accettato e anzi avallato questa sua modesta capacità d’intervento in materia di banda larga schierandosi esplicitamente a favore di un broadband deregolamentato. Nel 1998, l’allora chairman FCC William Kennard affermò ripetutamente che la banda larga doveva restare totalmente distinta dal mondo della telefonia. Nello stesso anno, in una relazione al Congresso, l’agenzia reiterò la sua posizione dichiarando che gli ‘information service providers’ utilizzatori della Rete non potevano considerarsi alla stregua di ‘telecom carrier’ perché questo li avrebbe implicitamente assoggettati al Titolo II, il che era in conflitto con lo spirito del Telecomunication Act. Quest’impostazione trovò conferma formale nella decisione unanime dei 5 delegati FCC (quattro più il presidente) di classificare la DSL nel 2005 e il wireless broadband nel 2007 sotto il Titolo I – ovvero come ‘servizi informativi’, esenti dalla regolamentazione propria dei servizi di pubblica utilità.

Nonostante una posizione formale esplicitamente a favore di una banda larga deregolamentata, a partire dalla metà degli anni 2000 la FCC ha però iniziato a sostenere la necessità che venissero rispettati alcuni principi mirati a preservare la natura interconnessa di un Internet pubblico. In caso contrario – dichiarò la FCC – l’agenzia sarebbe intervenuta. Questa posizione di ‘net-neutrality’ in nuce però non aveva basi legali, visto il modo in cui il broadband era stato disciplinato dal punto di vista normativo. Non a caso entrambi i tentativi della FCC volti a far rispettare quei principi – prima nei confronti di Comcast e poi di Verizon – sono stati rigettati dalle Corti cui hanno fatto ricorso ricorsi i due grandi ISP.

La riclassificazione sotto il Titolo II cambierebbe totalmente questo quadro. Anzi, dicono gli avversari della net-neutrality nella ‘versione Wheeler’, farebbe ben di più: metterebbe l’agenzia nelle condizioni, se volesse, di intervenire persino in materia di prezzi e di tipologia di business consentiti agli ISP. Le rassicurazioni fornite da Wheeler e dai sostenitori della riclassificazione che su questi aspetti del servizio di broadband la FCC praticherebbe la forbearance (la rinuncia a esercitare il suo diritto/dovere di regolamentare) vengono respinte al mittente.

Il risultato di questo potenziale cambiamento di pelle della FCC è che quello che è stato finora un organismo storicamente distintosi per aver mantenuto un’attitudine bipartisan è ora divenuto un luogo di scontro politico, con i commissari democratici (Jessica Rosenworcel e Mignon Clyburn) e i repubblicani (Michael O’Rielly e Ajit Pai) allineati sulle posizioni dei rispettivi partiti, gli uni ‘armati’ contro gli altri. E il chairman – la cui nomina è di prerogativa presidenziale – a fungere da ago della bilancia.

Anche per questo la proposta legislativa repubblicana che combina una sostanziale sanzione dei principi di net-neutrality ad un marcato contenimento dei poteri della FCC comincia ad essere guardata con interesse anche al di fuori della cerchia dei politici conservatori.

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