Come tutti i progetti di Elon Musk – fondatore e Ceo della società di auto elettriche Tesla Motors, di SolarCity e della compagnia spaziale SpaceX – sembra tratto da un fumetto o da un visionario racconto di fantascienza.
L’uomo ha inventato PayPal; vuole rendere universale l’automobile elettrica; trasformare in una faccenda banale viaggiare nello spazio. E solo pochi giorni fa ha annunciato la sua volontà di costruire un circuito di prova per i primi test di Hyperloop, il super treno che fa diventare l’Alta Velocità di oggi una patetica lumaca. Ma non basta: oggi ha in mente un piano apparentemente pazzesco: costruire una rete di circa 700 satelliti collocati in orbita bassa, poco costosi e miniaturizzati, attraverso cui correrà velocissimo e direttamente il traffico di Internet, che abbandonerà gli attuali cavi terrestri e sarà accessibile da ogni luogo del Pianeta.
Un’operazione che costerà la cifra di 10-15 miliardi di dollari, forse di più, ma che nasconde un obiettivo assolutamente incredibile: con i proventi della gestione di questa SuperRete planetaria, dice Musk, si potrà finanziare la conquista spaziale del pianeta Marte da parte dell’umanità.
Come si vede, un piano che ha dell’incredibile. Ma che è concreto, se è vero che nei giorni scorsi aziende tutt’altro che disattente ai loro interessi come Google e la compagnia di mutual funds Fidelity hanno già deciso di scommettere su SpaceX, immettendo nel capitale della compagnia di Musk la discreta somma di un miliardo di dollari, che corrisponde a una quota pari a circa il 10 per cento della società spaziale. Tutto, pur di far parte sin dall’inizio di un’operazione che non solo aprirà la porta dell’accesso a Internet a ogni abitante della Terra, ma che automaticamente darebbe vita al più colossale e globale Internet provider mai concepito.
Un provider che potrebbe diventare una macchina da soldi, e che forse cambierà in modo radicale lo stesso meccanismo di funzionamento dell’attuale World Wide Web. Sì, perché grazie alla costellazione di satelliti – circa 750, collocati a un’altezza di soli 750 chilometri da terra, e non alla tradizionale quota geostazionaria di 22.000 chilometri – sarà possibile bypassare i rallentamenti oggi inevitabilmente legati alle connessioni cablate in fibra, e peraltro dovuti anche alla natura stessa di Internet, concepita a suo tempo per far passare pacchetti di dati attraverso giri lunghissimi anche attraverso reti di comunicazione interrotte parzialmente da un attacco atomico.
In futuro, così, i dati invece di attraversare decine di router e reti cablate rimbalzerebbero da satellite a satellite fino a raggiungere quella più vicino alla destinazione, per poi tornare a un’antenna a terra.
“Il nostro obiettivo”, dice ha detto Musk in un’intervista a Bloomberg Businessweek – è creare un sistema di comunicazione globale che sia più grande di qualsiasi cosa discussa fino a oggi. La luce è più veloce del 40% nel vuoto dello spazio che nelle fibre”.
Il progetto avrà come base operativa Seattle, sarà una sussidiaria di SpaceX, partirà con 60 scienziati provenienti da tutto il mondo ma ne recluterà altri mille entro i prossimi tre o quattro anni; la prima generazione di satelliti verrà realizzata nel giro di 5 anni, mentre il progetto globale potrebbe impiegare 15 anni per andare a pieno regime. E come detto, in realtà servirà per finanziare la colonizzazione di Marte.
Il Pianeta Rosso, per Musk, è la Nuova Frontiera dell’umanità, ed è questo il vero obiettivo di tutte le sue imprese: mettere a punto razzi in grado di raggiungere Marte, e poi costruire una colonia popolata da persone, e in contatto costante con la Terra. Secondo l’imprenditore di origine sudafricana, il sistema di comunicazione diventerà “una fonte di reddito a lungo termine sufficiente per finanziare una città su Marte”, e se nel caso sarà usato per dotare la colonia di una rete globale di comunicazioni.
Va detto che questo non è affatto l’unico piano di “connettività globale”. Facebook scommette sui droni; Google ha investito sempre sui droni e sui palloni aerostatici; sempre sui satelliti punta OneWeb, una startup che ha ottenuto investimenti da Qualcomm e Virgin Group. Ma il piano di Musk, se andrà in porto, pare avere una marcia in più.