Non è una sorpresa. Il dossier Ott scotta. E continua a dividere. Anche al tavolo del Consiglio Ue. In settimana è emersa una netta spaccatura tra paesi fautori di un robusto intervento regolamentare sulle piattaforme come Google, Facebook o Apple, fazione capeggiata da Francia e Germania, e quegli Stati che viceversa nutrono scetticismo nei confronti di quest’opzione. Partito quest’ultimo che annovera, tra gli altri, Regno Unito e Paesi Bassi. Le frizioni si sono consumate sulla bozza di conclusioni del prossimo Consiglio dei Ministri “Competitività” (cioè dei ministri competenti per il mercato interno, l’industria e la ricerca) in calendario per il 2 marzo.
Il vertice sarà teatro di un primo scambio di idee sul piano sul Mercato Unico Digitale che la Commissione Ue presenterà il 6 maggio e che dovrebbe includere anche provvedimenti rivolti a piattaforme e servizi digitali. Le conclusioni del summit interministeriale, secondo un draft circolato nei giorni scorsi, raccomandano l’adozione di misure che “garantiscano un elevato livello di protezione per i consumatori assicurando una concorrenza fra tutti gli attori del mercato, promuovano un ecosistema favorevole agli investimenti e aiutino la competitività delle aziende europee”. Tra gli altri si sollecita la Commissione Ue ad analizzare “il ruolo e lo stadio di sviluppo delle piattaforme” e a “considerare la necessità di politiche” ad hoc. Un invito che, stando a una nota della Presidenza Lettone dell’Ue riportata dal sito Mlex, un fronte compatto di paesi (UK, Paesi Bassi, Svezia, Lettonia, Lussemburgo, Danimarca) desidera togliere dal documento. A riprova che l’idea di regolamentare gli Ott non è unanime tra i 28 del blocco europeo.
Sulla barricata opposta, Germania, Francia e Belgio premono per rimpiazzare la parola “politiche” con “framework”. A prima vista si tratta di un’inezia, ma con un occhio al lessico istituzionale di Bruxelles ha il suo bel peso specifico perché segna un netto cambiamento di registro: da un generico invito ad adottare iniziative politiche a quello a proporre un quadro regolamentare più stringente.
Le discussioni proseguiranno comunque mercoledì nel corso di una riunione tra i rappresentanti permanenti. Ma comunque si risolvano (un compromesso sarà comunque trovato prima dell’incontro del 2 marzo), sono la spia di una tensione che potrebbe presto sfociare in scontro aperto. E che di certo non viene in aiuto alla Commissione europea, che a sentire i rumors fatica ancora a trovare la quadra.
Lo ha del resto ammesso anche Martin Bailey, uno dei responsabili della task force comunitaria che sta mettendo a punto la strategia sul Digital Single Market: “Un’azione legislativa [sulle piattaforme] è necessaria, ma non abbiamo ancora una visione chiara della questione”, ha spiegato il 4 febbraio scorso nel corso di un hearing di fronte alla commissione Mercato interno del Parlamento europeo. Aggiungendo che una strada allo studio della Commissione sarebbe quella di intrecciare provvedimenti legislativi e strumenti di autoregolamentazione e coregolamentazione. Cosa che non è detto piaccia a Germania e Francia, da mesi impegnate in un intenso pressing sulla stessa Commissione.
A fine novembre, proprio alla vigilia del voto di Strasburgo sul break up di Google, i due paesi hanno inviato una lettera congiunta al nuovo esecutivo europeo nella quale suggeriscono che le grandi piattaforme siano nei fatti trattate alla stregua di servizi essenziali con tutti gli obblighi legali e in termini di concorrenza che ne derivano. “Le piattaforme essenziali sono basate su ecosistemi chiusi e integrati, e producono pertanto strozzature in alcuni mercati”, denuncia la missiva firmata dai rispettivi ministri nazionali delle comunicazioni, Brigitte Zypries e Axelle Lemaire. Tra le varie opzioni raccomandate da Berlino e Parigi c’è anche quella portare gli Ott sotto l’ombrello delle regole europee in vigore per le telecomunicazioni. Sullo sfondo lampeggia inoltre il discusso concetto di “neutralità delle piattaforme”, l’introduzione e l’applicazione del quale sarebbe effettivamente all’esame della Commissione europea. Pur con tanti “se” e altrettanti “ma”.