Le rose hanno anche le spine. E alle volte, accanto all’intenso odore del fiore, c’è anche un grande dolore come effetto collaterale. È quanto stanno scoprendo alcune imprese che spostano le proprie applicazioni in sistemi web nel cloud per avere risparmi e migliori performance anche in mobilità. Salta fuori, scrive il Wall Street Journal in una lunga inchiesta sui “dolori del cloud”, che non basta ruotare un interruttore perché tutto funzioni. Se non si fanno pianificazioni e calcoli ben ponderati prima, il rischio è che le spese vadano fuori controllo e che il cloud si trasformi in uno straordinario meccanismo per bruciare risorse economiche.
Il quotidiano economico cita una lunga serie di manager e dirigenti che si sono trovati a fare i conti con questo “approccio troppo semplicistico” al cloud per poi scottarsi le dita. Tra gli esempi che si possono fare c’è da notare anche un po’ di buone pratiche, come quella di realizzare app pensate per utilizzare il cloud in maniera efficiente e proporzionale al bisogno.
Il problema alla base sta tutto nella semplicità degli strumenti che il cloud mette a disposizione. Se la scelta di andare nella nuvola serve infatti a ridurre drasticamente le spese di capitali in azienda (CapEx) passando la tecnologia a fornitura di servizio e quindi a spesa operativa (OpEx), viene da sé che il rischio sta nella semplificazione. Se basta una carta di credito e poco più per far partire un servizio via cloud, come diceva una delle prime pubblicità a questa tecnologia realizzata da Amazon, allora la mancanza di controllo e la sindrome di acquisto compulsiva può portare a spese fuori scala e al rischio di spendere più di quel che si potrebbe risparmiare.
E secondo le stime di analisti ed esperti del settore, almeno il 60% delle macchine virtuali accese nel cloud per i clienti in tutto il mondo potrebbero in realtà essere “terminate” domani, perché sono semplicemente spese eccessive e sovradimensionate rispetto alle reali esigenze. Con buona pace anche dell’impatto che questo ha dal punto di vista delle risorse energetiche.
Man mano che il cloud diventa una risorsa sempre più utilizzata dalle imprese, abituate finora a fare i conti con gli investimenti di capitale tradizionali con tempi di ammortamento piuttosto lunghi, si deve cambiare mentalità. E se la spesa in servizi di cloud pubblico era di 45,7 miliardi di dollari nel 2013 e diventerà 59,5 miliardi alla fine di del 2017 secondo Idc, con una crescita annuale del 23%, c’è da dire che scarseggiano le competenze per la gestione avveduta dei servizi cloud come spesa operativa. Oltre al problema della qualità dei servizi e del tipo di contrattualistica messa in essere dagli accordi, adesso emerge dunque anche un nuovo fronte di problematiche legate “all’abuso” vero e proprio delle risorse informatiche perché “troppo facili” da ottenere. Un problema che venti anni fa sarebbe stato un sogno a occhi aperti per qualsiasi responsabile di un centro di calcolo.