IL CASO

Google, nessun accordo con il Fisco italiano

Smentita la notizia di un patteggiamento per 320 milioni di euro. Il procuratore capo di Milano: “Allo stato dell’attività di controllo non sono state perfezionate intese”. L’azienda: “Continuiamo a cooperare”

Pubblicato il 25 Feb 2015

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Google fa pace con il Fisco italiano e paga 320 milioni di euro di tasse su 800 che riconosce come imponibile prodotto in Italia in 5 anni. Anzi no. Se Il Corriere della Sera, che ha dato notizia del patteggiamento del colosso americano con le nostre autorità, parla di “colpo di scena”, le agenzie di stampa Ansa e AdnKronos riportano la smentita di Mountain View: “La notizia non è vera, non c’è l’accordo di cui si è scritto. Continuiamo a cooperare con le autorità fiscali”, ha dichiarato un portavoce di Google.

Anche il Corriere della Sera riporta in realtà le smentite del colosso americano, ma il quotidiano spiega che “l’accordo che i legali di Google hanno raggiunto la settimana scorsa dopo una riunione in Procura a Milano con i pm dell’inchiesta, il procuratore aggiunto Francesco Greco e gli inquirenti della GdF prevede che la compagnia americana formalizzi la settimana prossima l’apposita istanza di adesione alla Agenzia delle Entrate”.

Per ora tuttavia vincono le smentite. “Allo stato dell’attività di controllo non sono state perfezionate intese con la società, che si è riservata 
di fornire dati ed elementi che consentano di quantificare la 
redditività in Italia delle proprie attività economiche”, ha fatto sapere il procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati. All’esito dei controlli, che interessano le annualità dal 2008 al 2013, “saranno tratte le valutazioni conclusive sia sotto il profilo fiscale che sotto il profilo della qualificazione penale”. 


In relazione alla vicenda fiscale che 
coinvolge Google il procuratore della Repubblica di Milano ha spiegato ancora che che “sono in corso indagini” sulla società e che le risultanze degli accertamenti dell’indagine penale “sono state trasfuse nell’attività di verifica fiscale in corso della Guardia di Finanza“. Successivamente, “nell’ambito dell’attività ispettiva è stato intrapreso il contraddittorio con i rappresentanti del gruppo Google e i relativi consulenti 
con riguardo alle annualità dal 2008 al 2013″.

Il Corsera raccontava di una “una pignola istruttoria” di Pm e Gdf sui clienti italiani della pubblicità su Google, tale da documentare (anche con il sequestro di email) che, se tutto il servizio era pensato, contrattato e svolto in Italia, fatture e pagamenti venivano invece indirizzati sulla Google irlandese: questa girava i soldi sulla Google olandese sotto forma di royalties per i marchi e le licenze, che poi prendevano la strada di un’altra società irlandese controllante l’iniziale Google irlandese, che a sua volta vedeva però il proprio controllo in capo ad altre due diramazioni di Google soggette a imposizione fiscale alle Bermuda.

Secondo la ricostruzione del quotidiano milanese, Pm e GdF avrebbero riconosciuto a Google la deducibilità di taluni costi, ma contestato il nocciolo del meccanismo, “rispetto al quale Google Italia si è infine orientata ad un accertamento per adesione attorno ai 160 milioni l’anno di imponibile dal 2008 al 2013: le tecnicalità seguiranno, ma il saldo dell’intesa stima che tra Ires (27,5%), Irap, sanzioni (pur diminuite in forza dell’adesione) e interessi, Google infine staccherà un assegno pari a circa il 40% degli 800 milioni di imponibile nei 5 anni, e cioè circa 320 milioni”, conclude il Corsera. Notizia e cifre per ora completamente smentite.

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