Internet ex machina: l’oggetto si fa Sapiens

Dall’interazione uomo-macchina al machine-to-machine. Porta il nome di Internet delle cose il fenomeno destinato a rivoluzionare come non mai la comunicazione. Tanti i progetti anche in Italia, ma per il mercato ci vorrà ancora tempo

Pubblicato il 06 Apr 2010

Abbiamo imparato a conoscerla al computer. Era l’inizio degli
anni ’90 e Internet si presentò al mercato consumer sotto forma
di Web con la sua interfaccia molto più intuitiva di semplici
stringhe di codice. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti
e, oltre alla velocità con cui le informazioni viaggiano in Rete,
è anche aumentato il numero di dispositivi “online”: prima i
pc, poi i cellulari e ora i netbook e i tablet. Ma un’altra
svolta è dietro l’angolo e porta il nome di Internet degli
oggetti. Non più solo computer (o simili: come i cellulari)
connessi alla Rete, ma tutti gli oggetti potranno essere in grado
di comunicare tra loro (o con gli esseri umani).

I numeri sono impressionanti. Se oggi ci sono circa un miliardo e
mezzo di computer connessi e un miliardo di cellulari capaci di
navigare, nel giro di pochi anni almeno 100 miliardi di oggetti
“non computer” si potranno collegare alla Rete. “Provare a
calcolare le dimensioni del mercato dell’Internet degli oggetti
è molto complicato. È come se fossimo negli anni ’40 e
tentassimo di fare una previsione sul business della plastica:
allora era molto difficile immaginare che la plastica l’avremmo
trovata ovunque”, spiega Michael Nelson,
professore di Communication, Culture & Technology alla Georgetown
University. “È impossibile sapere quanti e quali oggetti
diventeranno intelligenti grazie all’Ict”.

Sappiamo solo che l’Internet degli oggetti crescerà. E di molto.
Secondo Gartner i sensori che consentono alle cose
di collegarsi a Internet genereranno nel 2012 il 20% del traffico
(video esclusi) della Rete. Non solo: una spinta (forse decisiva) a
questa pervasiva Internet che sarà ovunque arriverà dal mondo
mobile. Secondo Idate nel 2009 sono stati venduti per la telefonia
mobile 38 milioni di moduli M2M (machine-to-machine, l’insieme di
tecnologie che consentono a qualsiasi oggetto di “parlarsi”
attraverso un collegamento wireless) pari a un valore 11,2 miliardi
di euro.

Idate ha anche analizzato le singole tecnologie
che stanno generando un business simile. Una delle più importanti
è il Gps (1,03 miliardi di euro) che secondo gli analisti
genererà nel 2013 una crescita delle applicazioni M2M per la
telefonia mobile per 27,3 miliardi di euro e di 2,1 miliardi per il
satellitare.

Secondo Abi Research il numero di connessioni
cellulari M2M triplicherà nei prossimi cinque anni, per arrivare a
più di 200 milioni nel 2014. È chiaro quindi il perché degli
investimenti da parte delle aziende del comparto, come ad esempio
Ericsson. Il colosso svedese ha appena stretto un accordo con Digi
International, fra i leader americani nella fornitura di soluzioni
wireless M2M, che ha scelto il modulo a banda larga mobile Hspa di
Ericsson per i suoi gateway cellulari. “Ericsson prevede decine
di miliardi di dispositivi connessi entro il 2020”, sottolinea
Mats Norin, head of mobile Broadband Modules di
Ericsson. “Ogni dispositivo e ogni situazione che può trarre
beneficio da una connessione ne avrà una a disposizione. C’è
una forte tendenza verso la connettività in un’ampia gamma di
applicazioni industriali e il nostro modulo embedded consente di
integrare l’Hspa in qualsiasi dispositivo”.

“Dopo il momento dei social network è quello dei “social
object”, oggetti sociali che sanno comunicare con altri
oggetti”, dice David Orban, Chief Evangelist di
Wide Tag, start up californiana che si occupa di Internet degli
oggetti. “Questi oggetti, però, dovranno essere autonomi nel
raccogliere informazioni, organizzarle e comunicarle ad altri
oggetti”.

Per raggiungere lo scenario disegnato da Orban serviranno standard
di comunicazione, e non solo. In Europa ci si sta provando con
l’iniziativa European Casagras (Coordination and Support Action
for Global Rfid-related Activities and Standardisation), finanziata
in parte dall’Unione Europea e nata per promuovere una
collaborazione internazionale (con aziende e centri di ricerca
anche americani e asiatici) per accelerare lo sviluppo
dell’Internet delle cose.

“I primi settori che raggiungeranno una maturità nella Rete
degli oggetti saranno l’energia, l’ambiente, l’healthcare e
l’energia”, continua Orban. “Moltissimi sono infatti i
sensori in grado di monitorare sia la Terra che il nostro organismo
o la rete elettrica e poi capaci di comunicare i parametri raccolti
ad altre macchine”.

Insomma, l’Internet degli oggetti comincia a prendere forma.
Anche per il contributo delle big del settore Ict. Basti pensare
che tutti i colossi tecnologici hanno ormai un filone di sviluppo
in questo settore. E c’è pure chi, come Ibm, ha ormai puntato
(quasi) tutto sulla Rete delle cose con la strategia “A smarter
planet”, in cui il pianeta diventa più intelligente proprio con
la disseminazione di sensori e microprocessori capaci di rendere
tutti gli oggetti simili a dei computer. Connessi a Internet,
ovviamente.

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