Non solo un aiuto ai dipendenti per far quadrare le incombenze familiari e personali con i tempi di lavoro e un modo per far impennare i gradi di produttività aziendale, ma anche un sistema che, se fosse applicato a un milione e mezzo di persone, consentirebbe un risparmio di 4 miliardi l’anno. E a guadagnarci sarebbero sia le imprese sia i lavoratori. Questi i vantaggi che porterebbe l’applicazione dello smart working su larga scala, secondo l’ultima ricerca commissionata da Federmanager all’Università di Tor Vergata. “Con il telelavoro si abbatterebbero una serie di costi: da quelli di gestione del patrimonio immobiliare o energetici a quelli di trasporto e sanitari per i lavoratori, che potendo lavorare da casa o da qualsiasi altro luogo ridurrebbero i livelli di stress”, spiega Guelfo Tagliavini, Consigliere nazionale di Federmanager con delega all’Agenda digitale. L’associazione, che rappresenta oltre 180mila dirigenti della grande industria, da tempo dialoga con il governo italiano per promuovere la cultura dello smart working. “Ma di passi avanti purtroppo negli ultimi anni non ne sono stati fatti”, constata Tagliavini. A certificarlo i numeri impietosi delle classifiche europee. “Secondo quanto risulta a Federmanager, In Italia siamo fermi al 2%, quanto ad applicazione dello smart working, e ultimamente siamo stati superati anche dai Paesi dell’Est”.
Tagliavini, come mai questo ritardo?
Le ragioni sono essenzialmente culturali e legate all’arretratezza delle piattaforme tecnologiche abilitanti. Abbiamo un modello di gestione del lavoro fondato sul controllo fisico del dipendente e sulla gerarchia. Bisognerebbe scardinare il pensiero ancora molto diffuso nel nostro Paese, in base al quale è il “cartellino” a stabilire la produttività della persona. Un recente studio di Cisco dimostra che con l’adozione di forme di lavoro smart si registra un incremento delle perfomance lavorative del 30%.
Lo scarso sviluppo della banda larga frena lo smart working?
Sicuramente c’è la necessità di colmare il divario digitale attraverso un intervento pubblico più deciso. Il pieno sviluppo della banca ultarlarga è uno dei presupposti per favorire il telelavoro. Abbiamo bisogno di maggior infrastrutture, tuttavia quelle che abbiamo sono sufficienti per un salto di qualità. I freni sono più di natura culturale che tecnologica.
Il Jobs Act e il decreto Crescita prevedono incentivi per il telelavoro. Secondo lei sono misure efficaci?
Purtroppo devo constatare che questo governo ha dimostrato poca sensibilità rispetto al tema. Prevale un approccio antiquato che tende a vedere il telelavoro come uno strumento di welfare eccezionale e volontaristico da riservare a particolari categorie, come le lavoratrici madri o le persone con malattie o disabilità, quando in realtà lo smart working dovrebbe essere concepito come una vera e propria modalità di lavoro applicabile a tutti, per incentivare la produttività. Questo argomento dovrebbe toccare non solo la riforma del lavoro, ma anche quella della pubblica amministrazione. Abbiamo dato indicazioni in tal senso al governo ma sono rimaste inascoltate.
Quali vantaggi produrrebbe l’adozione di un modello di lavoro smart nella pubblica amministrazione?
Potrebbe essere utilizzato come una “medicina” per contenere gli esuberi che nel pubblico impiego. Col telelavoro si potrebbe ottenere una riduzione dei costi di circa il 10%. Insomma si potrebbe vedere nello smart working una sorta di ammortizzatore sociale per mantenere i posti di lavoro.
Come si può incentivare lo sviluppo dello smart working in Italia?
Serve ridurre gli oneri fiscali, ma soprattutto inserire questa modalità di lavoro nella contrattazione collettiva, dandogli una regolamentazione organica. Inoltre, è necessaria una più forte campagna d’informazione che faccia capire come il telelavoro possa essere praticato da tutti.
Secondo alcune società americane con l’applicazione dello smart working da qui a 20 anni si assisterà alla fine dell’ufficio. Lo ritiene plausibile?
Non posso che confermare questa previsione. La rapidissima evoluzione delle tecnologie consente ormai di lavorare in mobilità. Ci sono Epson, Alcatel-Lucent, Ibm che hanno già modificato la loro infrastruttura ufficio, trasformandola in un punto d’incontro e di confronto per il lavoratore. Ciò ha creato delle economie di scala notevolissime, migliorando la qualità della vita del dipendente.